“Grazie Putin”, la fuga & il blitz sardo di Uss
Dopo la clamorosa evasione anche lo stratagemma per sfuggire alle sanzioni, tutti i documenti societari modificatiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Jet da guerra schierati sul confine con l’Austria, 007 di mezzo mondo scatenati in lungo e in largo, dossier segreti, blitz russo in terra straniera. C’è molto di più dietro la clamorosa fuga dall’Italia di Artem Uss, il rampollo dell’oligarca siberiano, braccio destro di Putin, padre padrone della Costa Dorada, nella Gallura estrema. C’è la crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti, tra la Cia e i servizi segreti italiani, tra Palazzo Chigi e il Ministero della Giustizia. C’è lo scontro tra la magistratura e il governo. Non poteva essere diversamente. Basta leggere i capi d’imputazione del distretto giudiziario Usa, in nostro possesso e che pubblichiamo, basta scorrere le intercettazioni tra Artem Uss e il suo socio in affari di guerra e di petrolio, per capire che l’affaire non è un incidente di percorso.
Non è solo una figuraccia
Gli americani non lo mandano a dire: non è negligenza, la fuga di Artem Uss dall’Italia, con tanto di braccialetto di sorveglianza attiva, non può essere derubricata a semplice figuraccia. Secondo il distretto di giustizia di New York il cittadino russo-siberiano, residente a San Teodoro, nella terra di mezzo tra la Costa Smeralda e i monti della Barbagia, trafficava petrolio, bypassava sanzioni mondiali, ma soprattutto commerciava sofisticate apparecchiature americane da guerra, quella per jet, missili e armamentario micidiale. Tutta roba che Putin avrebbe utilizzato nella sua “operazione speciale” in Ucraina. Dunque, il proprietario della Luxory Sardinia srl e dell’Hotel San Diego, resort cinque stelle alle pendici della Costa Dorada, nel comune gallurese di Porto San Paolo, non era in giro per il mondo a vendere posti letto. La sua attività è nero su bianco in un mandato di cattura internazionale di 46 pagine, un j’accuse da criminale incallito, capace, secondo gli americani, di spostare milioni su milioni di dollari in criptovalute, con l’obiettivo di scavalcare le sanzioni, una volta con il petrolio venezuelano, l’altra con il commercio di microchip di fabbricazione americana ad appaltatori della difesa in Russia tutti riutilizzati nella guerra in Ucraina.
Contrabbandiere d’armi
In quelle pagine c’è il volto americano di Artem Uss, i suoi legami con gli apparati russi, il suo giro d’affari internazionale e persino le sue preoccupazioni. L'undici marzo 2022, due settimane dopo l'invasione russa dell'Ucraina, Artem Uss, figlio dell’uomo più potente della Siberia, presidente di quella regione, uomo d’onore della cerchia dello Zar Vladimir Putin, scrive un messaggio al telefono di Yury Orekhov, socio in affari. Gli americani lo intercettano. Il rampollo è preoccupato e informa il suo compagno di contrabbando: "Loro (gli Stati Uniti e l'Europa Union n.d.r) stanno preparando quattro pacchetti di sanzioni. Apparentemente, ora i governatori saranno inclusi”. La febbre alta del figlio “diplomatico” è tutta legata alla figura del padre, l’oligarca vero, quello che secondo l’accusa degli oppositori interni, pochi e mal ridotti, starebbe disboscando le foreste più grandi del mondo per guadagnare miliardi di rubli, da spedire al figlio, per conservarli in luogo sicuro, all’estero e in criptovalute. Teme che il cerchio delle sanzioni finirà per abbattersi su di lui, sulle sue proprietà, sui conti corrente sparsi nelle banche sarde, italiane e svizzere. E’ preoccupato, ma cerca di esorcizzare. E’ il 30 marzo del 2022, quando gli americani intercettano i messaggi tra due russi, uno è Yury Orekhov l’altro è proprio Artem Uss. I due stanno facendo affari a piene mani negli Stati Uniti e in Venezuela. Comprano e rivendono apparati militari, navi cariche di petrolio e tanta informatica. Loro sono di fatto agenti russi oltre confine. Sono fuori dalla chiamata alle armi, ma sentono già la pressione di possibili sanzioni. Il socio di Uss è diretto nella domanda: "Hai deciso di lasciare la Russia?”. La risposta del rampollo è una confessione: "Vuoi diventare un latitante internazionale? È troppo". Lui, Artem Uss, il film se lo era già fatto da tempo. Sapeva di poter avere le spalle coperte, anche in terra straniera, Italia soprattutto. Già un anno prima immaginava il rischio di diventare un ricercato internazionale, ben consapevole, però, che per lui sarebbe stato “troppo” accettare quello status, figuriamoci quello di detenuto. Putin sin dal primo giorno del suo arresto ad Ottobre scorso all’aeroporto di Malpensa, si era organizzato per far rientrare il prima possibile Artem Uss in patria, senza dare troppi dispiaceri al padre del baldo giovanotto, suo “scudiero” in Siberia. Il primo atto è quello che non ti aspetti: mandato di cattura internazionale di Putin proprio contro il giovane Artem Uss. Lo schema è chiaro: Putin vuole contrapporre, davanti ai giudici italiani, una analoga richiesta di estradizione, pari a quella già formulata dagli Stati Uniti. Il Ministero degli affari interni della Russia si spinge oltre e inserisce Artem Uss nella sua “specialissima” lista nera. L’accusa del tribunale di Mosca è quella di riciclaggio di denaro su larga scala, pena massima fino a 7 anni di carcere con una multa di un milione di rubli.
Fuga da film
La cronaca della fuga dall’Italia è roba da film di spionaggio, con l’aggiunta di due jet da combattimento, gli F 16 americani, che spiccano il volo poco dopo l’annuncio della fuga di Uss dall’Italia con la pretesa di intercettare in volo l’ipotetico aereo della fuga per “invitarlo” ad atterrare, con le buone o le cattive. Non lo troveranno mai. Qualche ora dopo il figliol prodigo ricompare nelle radure siberiane. In terra patria, quando atterra, si lancia persino in proclami sull’inaffidabilità dell’Italia giudiziaria e politica. In Russia è ovviamente a piede libero, quel mandato di cattura di Putin era carta straccia. In Italia, mentre si cercano i colpevoli per la fuga del russo più ricercato del mondo, si sono dimenticati delle sanzioni, le stesse che Artem Uss temeva nei suoi messaggi con il suo socio.
Scacco matto sardo
Era talmente angosciato che nove giorni dopo il suo arresto a Milano aveva già dato ai suoi soci il via libera per farlo letteralmente “sparire” dalle società sardo-russe con le quali deteneva il controllo della holding Luxory Sardinia e del resort gallurese Hotel Don Diego. Un’operazione giocata con un blitz registrato in due tempi. Il primo alle undici del mattino del 26 ottobre scorso. Il primo punto dell’ordine del giorno dell’assemblea dei soci della “Luxory Sardinia” convocata a Loiri San Paolo, località Costa Dorada, è la revoca dell’amministratore Artem Uss per giusta causa. Due ore dopo, sempre nella stessa location, si riunisce l’assemblea dell’altra società, la “Hotel Don Diego”. Gli atti notarili in nostro possesso, che pubblichiamo, sono chiari: «Con riferimento al primo punto all'ordine del giorno, il Presidente informa i soci che, come anche confermato da organi di stampa, il Consigliere Artem Uss è stato tratto in arresto a Milano il giorno lunedi 17 ottobre 2022. Quest'ultimo pertanto risulta impossibilitato ad adempiere alla carica di Consigliere pregiudicando il pieno ed efficiente funzionamento dell'organo amministrativo della Società». In un colpo solo Artem Uss ha fatto scattare il suo piano anticonfisca e congelamento e nel contempo già attendeva gli “angeli” di Putin per riportarlo in patria. Non è un caso che il padre del rampollo fuggito dall’Italia con tanto di braccialetto antifuga, poche ore dopo il rientro in patria del figlio, sia comparso in un video davanti ad una foresta siberiana. L’esclamazione paterna è stata molto di più di una confessione: «Grazie Presidente Putin».