Quando li hanno comprati non pensavano certo a seminare grano. In quegli anni, in quei terreni paglierini come il frumento del più grande granaio d’Italia, nel quadrilatero tra Samatzai, Serrenti, Nuraminis e Furtei, l’unica rendita era quella del duro lavoro di campagna. Agricoltura e allevamento, recitava la geografia economica degli anni che furono. Il sogno dell’Eldorado petrolifero non albergava nelle menti di chi in campagna conosceva sia l’alba che il tramonto. Eppure, nel 1961, albori della rinascita industriale, in quelle stesse terre, spuntavano le trivelle della Wintershall AG, una Società di Hannover incaricata di cercare petrolio nelle prospezioni geologiche tra la “formazione” di Samassi e quella di Ussana. I tedeschi perforano a più non posso quegli avvallamenti nell’agro di Samatzai, riempiti, in millenni di evoluzioni della terra, da arenarie grigio giallastre e di “cemento” prevalentemente argilloso. Il pozzo “Campidano 1” per la ricerca petrolifera sarda, posizionato a trenta chilometri da Cagliari, rientrava in un piano della Regione che all’epoca sognava greggio e barili.

Niente petrolio

Non troveranno niente. A fare shopping terriero, tra nuraghi e domus de janas, ci pensa, però, il colosso della Italcementi, attraverso la Ital Real Estate, un’apparente modesta società immobiliare a responsabilità limitata. A qualche chilometro da quella che sarà una delle più importanti cementerie d’Italia, già insediata nella brulla pianura a ridosso del centro abitato di Samatzai, la potente società, ora al 100% tedesca, controllata dalla Italcementi Heidelberg, fa acquistare qualche decina di ettari di terreni apparentemente funzionali solo al pascolo e alla produzione agricola. Le vere ragioni di quelle compravendite, però, sono altre. Meno nobili e devastanti.

Trivelle & escavatori

Dopo le trivelle petrolifere di impavida memoria, due anni fa, infatti, in quei terreni bruciati impunemente, non dal tempo, sono arrivati gli escavatori della Procura di Cagliari, spediti in trincea dal pubblico ministero Giangiacomo Pilia, magistrato alle prese con uno dei lati più oscuri dell’inquinamento coloniale della Sardegna. Il dossier è scottante, in ballo ci sono potenti e affari, devastazione ambientale e distruzione di habitat naturali. L’inquirente di Piazza Repubblica è andato giù a colpo sicuro. Gli uomini del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, e ancor prima la stazione di Nuraminis, avevano rastrellato prove e campioni, fotografie e video, testimonianze e prove inconfutabili. La prima segnalazione è di un comitato anonimo. C’è timore di rappresaglie. Inquinamento & lavoro in quest’Isola deturpata da una violenza ambientale inaudita vanno di pari passo. Se vuoi lavorare devi accettare il ricatto dell’inquinamento e quello della salute. Gli inquirenti, però, sanno chi c’è dietro quel comitato che tenta di far emergere una verità che in molti vorrebbero tenere segregata nel silenzio di malattie e degrado. Bussano alle porte di almeno tre persone che alla fine ci mettono la faccia. Parlano e raccontano tutto quello che sanno.

I video dei veleni

Il terzo dei “cittadini coraggiosi” si è spinto oltre: ha documentato tutto. I camion, le ruspe, gli interramenti e le coperture, tutte funzionali a nascondere quella montagna di veleni schiaffata impunemente sottoterra. Non qualche sacchetto d’immondizia industriale, già di per sé deprecabile, ma una vera e propria trasformazione del territorio con montagne di sostanze pericolose che cambiano equilibri morfologici, idrici e naturalistici della zona. I carabinieri acquisiscono tutto, l’album dell’inquinamento pullula di reati. Il cineasta dei veleni ha immortalato tutto, ha impresso quelle azioni cruente in centinaia di foto e video. Nelle sequenze documentali ci sono i momenti cruciali in cui i camion lasciavano lo stabilimento industriale per, poi, scaricare in aperta campagna quei rifiuti, in molti casi censiti come pericolosi. E’ gennaio del 2018 quando il Noe, con i carabinieri di Nuraminis, vanno sul posto, in località su Nuraxi, agro di Samatzai. Non hanno bisogno del drone. Si vede lontano un miglio che l’area è devastata da sbancamenti e riempimenti fatti alla bene e meglio, con materiali industriali di ogni genere e colore che affiorano in superficie.

Inchiesta imponente

Il magistrato non perde tempo: firma i sequestri, dieci in tutto. Le aree vengono recintate e interdette. E’ l’inizio di un’inchiesta imponente, che mette sotto accusa una delle società più potenti al mondo nel campo della produzione del “petrolio” dell’edilizia, il cemento. Società dai fatturati gonfi di guadagni, con la coscienza carica di licenziamenti e cassa integrazione. Talmente potenti da pensare di poter restare impuniti davanti ad accuse blindate, scandite dalla Procura cagliaritana nella richiesta di rinvio a giudizio appena siglata, qualche giorno fa, da Giangiacomo Pilia. Accuse pesantissime per tutti i vertici della cementeria di Samatzai, suffragate da una consulenza tecnica da far tremare le vene dei polsi. Il documento non lascia vie di scampo. Circostanziato e puntuale, senza attenuanti per quello scempio consumato nella terra del grano. La sequenza dei fatti è documentata. Ogni discarica illegale contraddistinta da mappali e veleni.

Tsunami

Un vero e proprio bombardamento di inquinanti, disseminati ovunque in questa valle di cemento e devastazione. Si va da nord a sud dello stabilimento, con strade dedicate e recintate, tutte all’interno del sito industriale per poi sfociare, come se niente fosse, in aperta campagna. La strada per arrivare all’apoteosi di questo assalto coloniale alle terre del Campidano è frastagliata come un rally estremo. Quando arrivi a “Su Linnarbu”, a due passi dal Nuraghe che svetta alla periferia del paese di Samatzai, in apertissima campagna, ti rendi conto che su quelle terre è passato uno tsunami. Non cresce niente, l’erba rupestre e i ginepri, qui, nei terreni della Ital Real Estate, sono un miraggio. E hanno ben donde specie vegetali e animali a passare alla larga. In quella distesa di venti ettari, di proprietà della società ora totalmente tedesca, gli escavatori della Procura non sono riusciti a trovare la fine di quei cumuli di veleni. Fine verticale, per intenderci, visto che quella montagna di veleni ha segnato profondità sino a 12 metri. Le trincee aperte dai mezzi meccanici inviati dalla Procura, però, hanno messo a soqquadro i piani di occultamento di quei veleni.

Interrati e coperti

In quest’area, con una stima prudentissima al ribasso, sono stati calcolati 200 mila metri cubi di veleni scaricati e occultati nel terreno, senza pudore. Interrati e poi coperti. Le prove sono schiaccianti: «Le immagini – è scritto nei verbali – documentano come la Italcementi avesse appena disposto terra di riporto sopra i rifiuti, si ritiene al chiaro scopo di occultarli». Non hanno badato a niente, coprendo di rifiuti persino sorgenti e corsi d’acqua. Scrive il consulente del Pm, l’ingegner Paolo Littarru: «L’alterazione dell’ecosistema vegetale pare evidente anche in prossimità delle trincee realizzate a valle del cumulo dei rifiuti dove è stata coperta la sorgente Mitza Surri e parte dell’alveo del Rio Surri». Spregiudicati, senza appello. Scrive ancora il consulente: «Il cumulo di rifiuti insiste, infatti, sulle acque della sorgente che sono venute facilmente a giorno a seguito degli scavi durante le indagini. In condizioni normali la sorgente avrebbe fornito acqua durante tutto l’anno».

Arsenico e piombo

Le analisi dei suoli e delle acque, in quell’area, sono devastanti: sopra le soglie di legge si registrano arsenico, cadmio, piombo, selenio e tallio. La relazione finale del Consulente, per l’area più imponente di questo degrado ambientale senza precedenti, risponde affermativamente al quesito del Magistrato: «I rifiuti rinvenuti nel sottosuolo di pertinenza dello stabilimento dell’Italcementi S.p.A. hanno cagionato inquinamento ambientale, con conseguente compromissione e deterioramento significativo e misurabile del terreno e dell’acqua». Con un’aggravante messa nero su bianco: «...ricorrendo almeno parzialmente le condizioni di cui alla fattispecie di disastro ambientale caratterizzata da una imponente contaminazione di siti mediante accumulo sul territorio e versamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi». Il danno è compiuto, grave, forse irreversibile.

Venti milioni di bonifiche

Il Pubblico Ministero si porta avanti. Nella relazione del consulente chiede la valutazione dei costi di bonifica. Le cifre rendono solo parzialmente l’entità del danno: qualora lo smaltimento di quei veleni avvenisse in Sardegna, se le discariche sarde avessero la capienza, il costo supererebbe i 20 milioni di euro. Se si dovessero, invece, utilizzare altre discariche fuori dall’isola l’esborso sarebbe di 26 milioni di euro. Per adesso c’è la richiesta di rinvio a giudizio e la data dell’udienza fissata dal Giudice Maria Gabriella Muscas per il 22 febbraio 2022.

Gli imputati

Ci saranno gli imputati accusati a vario titolo di aver realizzato discariche di rifiuti anche pericolosi in assenza di autorizzazione, proseguendo negli anni nell’ attività di interramento, provocando disastri ambientali e pericolo per la pubblica incolumità. A risponderne saranno in base ai ruoli chiave nello stabilimento Salvatore Grimaldi Capitello, Ignazio La Barbera, Lorenzo Metullio, Giuseppe Cataldo , Basilio Putzolu. Il procedimento penale è a carico anche della Italcementi Fabbriche Riunite Cemento S.p.A, un colosso mondiale che nei terreni del Campidano non seminava grano, non cercava petrolio, ma, secondo gli inquirenti, interrava veleni, inquinando suolo e sorgenti d’acqua.

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