L'iniziativa è nata su Facebook. Decine di donne si sono date appuntamento nella piazza del paese. Dalle 7 alle 23 hanno lasciato le scarpette, molte colorate per l'occasione.

La manifestazione non è stata solo emblema della lotta per la tutela delle donne contro la violenza, ma è stata anche significativa della voglia di prendere posizione in una terra in cui il silenzio, anche di fronte ai fatti di sangue, è spesso la regola. "Mia sorella -ha detto Graziella Dore - non portava scarpe rosse, ma il significato e il valore di questa iniziativa è straordinario. Forse è proprio così. Adesso la gente vuole sapere la verità". Le donne che hanno aderito all'iniziativa attendono che il processo dichiari o meno la colpevolezza di Francesco Rocca, marito di Dina Dore, e del presunto killer, oggi in carcere. Condannano però già oggi la violenza delle parole che è emersa dai tabulati: "Ha umiliato la moglie e ne ha insultato la memoria". E Dina, di contro, manifestava l'umiliazione cui i comportamenti dell'uomo che aveva sposato, amato e reso padre, la sottoponevano: "Forse per me l'unica soluzione è farla finita - scriveva in un sms indirizzato al marito pochi giorni prima di essere uccisa -, visto che non sei solo tu che mi detesti ma anche gli altri, quindi sono io che non vado. Troverò il coraggio prima o poi..."

Il resoconto della manifestazione e la ricostruzione del dramma psicologico in cui Dina era piombata sono raccontati nell'Unione Sarda in edicola. L'articolo è firmato dall'inviato Piera Serusi.
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