CAPOTERRA Ciao zii... Fiammetta Luca Eliana Manu Simo . Margherite e anturium della corona sfioriscono sotto un sole impietoso mentre duemila bocche restano sigillate al passaggio delle bare di Giancarlo Pintus e Sandrino Farci, annegati in una domenica d'estate nel golfo degli Angeli. Mentre la guardia costiera e i vigili del fuoco si affannano per trovare Paolo Pintus, ufficialmente disperso, i familiari lo piangono e l'arcivescovo Mani lo inserisce d'ufficio nell'omelia: «Nella solitudine delle onde c'era Maria ad accoglierli tutt'e tre».

Alle 17 un esercito di magliette sudate e infradito occupa ogni angolo della chiesa di Sant'Efisio martire. Giù le serrande dei negozi, chiusi i bar per lutto : la città si è fermata per un giorno. Nei primi due banchi i parenti stretti con gli occhi protetti da lenti scure, assente Andrea Maccioni, unico superstite del naufragio. C'è voluta tutta la determinazione di cui un medico può essere capace per impedirgli di lasciare l'ospedale. È stato lui a raccontare di aver visto Paolo Pintus inabissarsi un attimo dopo avergli preconizzato la salvezza, dando un'aura magica alla tragedia: «Mi ha detto addio, pensa tu anche alla mia famiglia, a mia moglie e mio figlio. Io ti salverò ». Sia come sia, lui s'è salvato: «È cambiato il vento, la corrente mi ha portato vicino a una boa del porto canale. Mi sono aggrappato. Dopo venticinque ore in acqua sono arrivati i pompieri». Forse - ma è un'ipotesi a uso e consumo di chi crede nell'aldilà - il caldo africano non ha lasciato indifferenti i tre pescatori annegati, che da lassù ieri hanno trovato il modo di far spirare una brezza mentre la folla dentro e fuori la chiesa dava segni di cedimento.

Alle 17 e un quarto l'accento fiorentino dell'arcivescovo Mani rimbalza dall'altare all'altoparlante sistemato nella piazza: «In questo momento la parola più grande è il silenzio. Ricordate che l'uomo vive per sempre, non come i fiori che ci sono qui in questo momento e che domani saranno morti, secchi». Rivolto ai parenti: «Sentirete un vuoto che potrà essere riempito solo con la fede. Lo so per esperienza, tredici anni fa morì mio padre e nello stesso momento in cui è spirato ho avuto la sensazione di accompagnarlo da Dio». La porta della sagrestia lasciata prudentemente aperta incanala il vento che fa ondeggiare i paramenti dell'arcivescovo e del parroco, don Mario Mela. Nella piazza guadagnano posizioni tre ragazze in divisa da commessa, sulle t-shirt la scritta Conad via Monteverdi . Il dolore è composto, sommesso perfino il pianto dei parenti. Nell'istante in cui il sacerdote dice la messa è finita, andate in pace per un'inopportuna sincronia si accende il motore di un carro funebre. La chiesa si svuota, la folla invade corso Gramsci e dintorni. Sorretta da mani estranee varca il portone la prima bara ed esplode l'applauso, un rito che negli ultimi vent'anni ha risparmiato pochissimi funerali per colpa di un malinteso senso di pietà cristiana. E il battimani si ripete col secondo feretro. Due donne evitano che Ilenia - moglie di Paolo Pintus - crolli a un passo dall'uscita, la faccia è una maschera di dolore, le labbra si muovono rabbiosamente senza pronunciare una sillaba.

Il corteo si mette in marcia verso il cimitero scortato da vigili urbani e carabinieri. Un fiume di dolore inonda le strade, lambisce il municipio e stimola l'immaginazione di chi non rinuncia a dire la sua. «Sono diventati tre angeli, ci guardano dall'alto e non vogliono vederci piangere», spiega convinta una donna a una bambina che avrà dieci anni. «Ma, in paradiso, c'è il mare?»
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