Il Palazzaccio è blindato. L'ingresso su Largo Porta Vittoria, nel cuore della Milano giudiziaria, non ammette deroghe. Tempo di Covid e feste da lockdown. Giudici e avvocati preferiscono la connessione da remoto. A quattrocento passi da quelle scalinate, rese celebri dall'era di mani pulite, le insegne della balena blu sono mimetizzate ai piani alti. Largo Augusto è il quartier generale della più indebitata delle compagnie di navigazione, la Moby, proprietaria, salvo pignoramenti e sequestri, del 100% della Tirrenia, la compagnia pubblica fattasi Cin all'atto della privatizzazione datata 2012. Il giorno della resa dei conti, trascorre nel silenzio ufficiale, quello del Tribunale fallimentare e soprattutto del patron di Mascalzone Latino.

Dietro l'angolo

Per ieri, 28 dicembre, primo giorno arancione dopo il rosso natalizio, era prevista la presentazione del piano concordatario della Moby e della Compagnia Italiana Navigazione, ovvero la proposta ai creditori per tentare di evitare le gambe all'aria. Il fallimento è dietro l'angolo e Alida Paluchowski, Presidente del Tribunale, attende da troppo tempo che Onorato cali le carte del tentativo estremo di salvataggio, sempre preannunciate ma mai presentate. Ieri è scaduta l'ultima proroga concessa. Sono passati la bellezza di 180 giorni, visto che l'articolo 161 della legge fallimentare prevedeva un massimo di 120 giorni per presentare il piano di salvataggio e ulteriori sessanta giorni di proroga, anch'essi concessi a Moby e Cin. Eppure, secondo fonti autorevoli, i legali di Onorato avrebbero protocollato digitalmente un'ulteriore richiesta di proroga, accampando una valanga di scuse, dal Covid alle trattative internazionali in corso. I giudici del tribunale fallimentare si sarebbero riservati di decidere, anche se un'ulteriore proroga, altri tre mesi, sarebbe clamorosa e probabilmente ingiustificabile per le tasche di chi gli ha prestato una montagna di soldi. Alle calcagna di Onorato e company c'è, infatti, una valanga di creditori, dalle banche agli obbligazionisti, dai fornitori ordinari ai marittimi rimasti anche senza le competenze di fine anno. Il quadro finanziario è da notte fonda. Mancano i bilanci del 2019 e le trimestrali del 2020. A giugno di quest'anno, però, secondo stime interne, la perdita avrebbe superato i 50 milioni di euro. I debiti si sarebbero inerpicati su vette da primato con un indebitamento di 643,8 milioni, di cui 160 sono debiti verso le banche, 295 verso gli obbligazionisti del bond lussemburghese, 39,3 verso fornitori e 140 milioni dovuti ad imprese controllate. A questi vanno aggiunti i 180 milioni di euro che Onorato si è "dimenticato" di pagare allo Stato per l'acquisto della compagnia pubblica a luglio del 2012. Ammontare complessivo del profondo rosso quasi 824 milioni di euro. Non bruscolini. Onorato, però, alla vigilia di Natale ha inforcato Facebook e ha scritto la "sua" verità. Parole che stridono come neve al sole. Il proclama è scandito senza mezze misure: «Dopo un anno di duro lavoro e di sacrifici a cui tutti noi siamo stati chiamati la compagnia è sempre più forte, più sana ed in grado di affrontare le sfide future». Nel messaggio al popolo Onorato promette di ripagare i sacrifici e annuncia: «Sono orgoglioso di aver presentato insieme al management un piano industriale volto da una parte a tutelare gli interessi dei creditori e dei fornitori e dall'altra confermi tutti i posti di lavoro ed i nuovi investimenti». Gli annunci di una «compagnia sempre più forte» si schiantano, però, con la realtà a cui lo stesso patron non può sottrarsi: «Purtroppo mi rendo conto, con estremo dispiacere, che la conseguenza del blocco di una parte della tredicesima è stato richiedervi un ulteriore sacrificio del quale sono certo verrà posto velocemente rimedio, ed appena usciti dalle "secche", a ristrutturazione avvenuta, sarà il primo pagamento che le compagnie effettueranno».

Notte infinita

Promesse alle quali in pochi cominciano a credere. «Nessuna notte è infinita», conclude Onorato, ammettendo che il buio è ancora pesto. E del resto del piano non se ne ha traccia alcuna, né industriale, né tantomeno finanziario. Le trattative con i fondi internazionali Fortress, Clessidra, Europa Investimenti si sarebbero arenate o addirittura naufragate. All'orizzonte, infatti, si affaccerebbe un fondo australiano, direttamente dalla terra dei canguri, il più lontano di tutti. Alcuni danno l'operazione per definita ma di mezzo c'è sempre la sostenibilità economico finanziaria segnata da un perenne segno meno. Compagnie, Moby & Tirrenia, che risultavano gravemente in perdita ancor prima della pandemia e con contributi statali erogati a piene mani, figuriamoci durante e dopo.

Canguri

Il fondo australiano si sarebbe impegnato per acquisire le due compagnie sborsando 300 milioni di euro. Onorato non uscirebbe di scena perché si sarebbe accordato per un noleggio da 50 milioni di euro all'anno dell'intera flotta acquisita dai canguri australiani. I conti, però, non tornano visto che il deficit delle due compagnie era stato attenuato dalla copiosa convenzione da 72 milioni di euro all'anno elargiti dallo Stato. Denaro che la compagnia di Onorato dovrà scordarsi visto che nessuno ha mai firmato la proroga di un anno. I 300 milioni che ballerebbero in questo tentativo di salvataggio dovrebbero fare i conti con alcuni punti fermi. Uno è certamente legato al debito con lo Stato: chiunque si accordasse per ridurre quel debito finirebbe dritto dritto alla Corte dei Conti visto che le navi sono state sequestrate per un valore pari al debito maturato con l'amministrazione straordinaria della ex Tirrenia. Danno erariale assicurato.

Nave da 43 anni

E che la situazione sia ormai giunta al capolinea lo dimostra l'ultima arrivata sulla rotta Civitavecchia-Cagliari. Onorato ha, infatti, messo in linea una nave di 43 anni suonati, la Moby Corse, ceduta chissà come alla Compagnia Italiana Navigazione. Un traghetto varato nel 1978, utilizzato sino a poco tempo fa sulla Genova - Bastia. Sotto Natale l'ha schierata sulla rotta più lunga della Sardegna. Un anno fa il sistema europeo di ispezione della sicurezza dei traghetti l'aveva "beccata" a Bastia con malfunzionamento dei dispositivi di chiusura delle porte stagne, con difformità nell'impianto fisso di antincendio, nei generatori di emergenza e della sicurezza antincendio complessiva. Qualcosa avranno riparato per rimetterla in servizio sulla rotta pagata a caro prezzo dallo Stato. La fu Dana Anglia, al secolo Moby Corse, 43 anni dopo il varo in Danimarca, ieri notte ha lasciato Cagliari per Civitavecchia con tre ore di ritardo. Strano, tutte le altre erano partite regolarmente. Un reperto del mare in acque sempre più agitate.

Mauro Pili
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