Qualche giorno fa i quotidiani hanno riportato la notizia secondo cui il Tribunale di Bologna avrebbe imposto, come di fatto ha imposto, al Comune l’iscrizione, nella propria anagrafe di due donne richiedenti asilo che avevano trovato il coraggio di proporre ricorso avverso il diniego di cui al c.d. Decreto Salvini a mente del quale il permesso di soggiorno, utile per la richiesta di asilo, pur valendo quale documento di riconoscimento, non potrebbe essere utilizzato quale documento valido ai fini dell’ottenimento dell’iscrizione anagrafica, la quale sarebbe invece subordinata all’esibizione all’Ufficio Anagrafe, da parte del richiedente asilo munito di permesso di soggiorno, di un altro documento valido a dimostrare la regolarità del soggiorno medesimo nel nostro Paese.

Il Tribunale, tuttavia, in senso nettamente opposto, ha voluto precisare, per un verso, che anche a prescindere dal dettato della legge, non esisterebbero affatto dei titoli legittimanti l’iscrizione siccome questa avverrebbe sulla base della sola dichiarazione della persona che si determini a denunciare al Comune il luogo in cui abita in forza della sola regolarità del proprio soggiorno il quale, a sua volta, sarebbe agevolmente riscontrabile attraverso il c.d. modello C3 di richiesta asilo presentato in questura, oppure attraverso la ricevuta rilasciata dalla medesima per attestare il deposito di quella richiesta (di soggiorno), ovvero ancora attraverso la scheda di identificazione ivi redatta, e per l’altro verso, (ha voluto precisare), con riferimento alle previsioni del Decreto, che “la mancata iscrizione ai registri anagrafici impedisce l’esercizio di diritti di rilievo costituzionale ad essa connessi, tra i quali rientrano ad esempio quello all’istruzione e al lavoro”.

E mentre il primo cittadino di Bologna ha accolto con soddisfazione siffatta pronuncia dichiarando orgogliosamente che “il Comune la applicherà senza opporsi”, il Ministro dell’Interno, come da suo solito, non ha tardato a far sentire la sua voce roboante gridando alla vergogna ed invitando i giudici pro migranti al rispetto della legge o, in caso contrario, a lasciare il Tribunale per candidarsi con la sinistra. “Zustissia pro attere in domo no colete” diciamo dalle nostre parti. Tradotto “a senso” e in breve: disobbediente con le leggi degli altri, legalitario con la propria. Oggi, infatti, Salvini si fa lecito di gridare al rispetto del Decreto Sicurezza presentandosi come moralizzatore e garante della perfetta applicazione delle norme vigenti ma si dimentica, tuttavia, che solo ieri, all’atto della entrata in vigore della Legge Cirinnà sulle Unioni Civili, fu lui, a parti invertite, il primo a gridare allo scandalo incitando platealmente i sindaci leghisti a disobbedire per motivi ideologici proprio ad una legge dello Stato, minacciando, altresì, di espulsione la sindaca leghista di Oderzo (che unì civilmente due uomini) sol perché si era resa responsabile di aver applicato una legge a lui invisa.

Mala tempora currunt!

Ma poi, è proprio vero che il Tribunale Bolognese, con la sua decisione, ha violato il decreto migranti? O invece, siffatta decisione, con buona pace di chi quel decreto lo ha voluto credendo di porre un punto fermo sulla questione, ha solamente evidenziato le falle di una legge arraffazzonata che, tanto per cambiare (legiferare non è mestiere di tutti), presenta diversi profili di incostituzionalità? La risposta non può che essere, all’evidenza, negativa con riferimento al primo interrogativo, e positiva con riferimento al secondo.

Intanto, perché, come sottolineato nella stessa pronuncia del Tribunale Bolognese, il legislatore, alias, nel caso de quo, Matteo Salvini, si è dimenticato di introdurre un divieto esplicito di iscrizione per i richiedenti asilo, sicché, aggiungiamo noi, non può pretendere di far ricadere sugli operatori del diritto le responsabilità delle proprie mancanze tacciandoli ingiustamente di disobbedienza.

Quindi, perché l’interpretazione dell’articolo 13 del Decreto Sicurezza avallata dal Tribunale è l’unica in grado di reggere il vaglio di costituzionalità siccome, innegabilmente, ogni richiedente asilo, una volta presentata la domanda di protezione internazionale, deve intendersi per ciò stesso come regolarmente soggiornante per il periodo necessario e sufficiente all’esame della domanda di asilo medesima.

Inoltre, perché la modifica introdotta dal decreto legge 113/2018 per l’iscrizione anagrafica degli stranieri con permesso finalizzato alla richiesta di asilo, in assenza di correttivi sul piano interpretativo, quali quelli apportati dal Tribunale Emiliano, è indiscutibilmente discriminatoria siccome viola, sia il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione perché esclude dal diritto fondamentale alla residenza anagrafica, che, non lo dimentichiamo, è diritto soggettivo perfetto, una determinata categoria di persone in totale mancanza di qualsivoglia ragionevole motivazione che sia idonea a giustificare il differente trattamento, sia il principio alla libera circolazione e soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale stabilito dall’articolo 16 della Costituzione.

Infine, perché questo famigerato Decreto Salvini, presentato ai nostri occhi come provvedimento idoneo a garantire maggiore sicurezza, in realtà altro non fa che creare disordine, giacché, è perfettamente inutile negarlo, la sicurezza risiede e risiederà sempre nella piena visibilità ed identificabilità delle persone.

È proprio il caso di dire che questa volta, e proprio con riferimento al suo cavallo di battaglia, il Ministro dell’Interno è riuscito ad incassare il suo autogol. Voleva cambiare tutto e non è riuscito a cambiare nulla giacché, contrariamente a quanto riteneva, e per farla breve dimostrando per ciò stesso di non conoscere la normativa, il permesso di soggiorno finalizzato alla richiesta di asilo non costituisce l’unico documento che un soggetto richiedente può far valere innanzi all’Ufficiale di Stato Civile per dimostrare la regolarità della propria permanenza.

Stando così le cose, e pur nella consapevolezza che una sentenza di primo grado non faccia stato nomofilattico, credo proprio che al nostro Ministro dell’Interno non resti che cospargere il capo di cenere e fare un bel “mea culpa” non solo e non tanto, sebbene sia comportamento gravissimo, per aver accusato ingiustamente la magistratura di forgiare sentenze influenzate da valutazioni politiche, ma anche per aver lasciato a tutt’oggi aperta la questione migranti con un decreto che lungi dal risolvere, amplifica i problemi connessi al fenomeno migratorio, sul quale, peraltro, il nostro Paese continua colpevolmente a non assumere una posizione netta in merito alle politiche da adottare con riferimento agli stranieri già presenti sul territorio.

Caro Ministro, ci consenta, è proprio giunto il momento di mettere da parte gli slogan.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
© Riproduzione riservata