Alla fine del 2009, allo scoppio della crisi immobiliare di Dubai, in una notte i parcheggi dell'aeroporto si riempirono di Rolls-Royce. Quelle che non trovarono spazio furono lasciate per le strade e persino nel deserto: una visione impressionante. Erano tutte automobili in leasing, abbandonate da chi non poteva più pagare le rate mensili, le migliaia di persone che preferirono semplicemente fuggire dalla città lasciandosi alle spalle debiti non più onorabili.

Lo stesso capitò per gli immobili, con una differenza: chi li aveva acquistati, e a cifre iperboliche (come David Beckham, proprietario di una villa a Palm Island), si ritrovò da un momento all'altro con un valore nullo della proprietà. Chi li aveva affittati o presi in leasing, poté invece abbandonarli da un giorno all'altro, bloccando le proprie perdite. Per la cronaca, Dubai fu poi salvata da un prestito miliardario, oggi ripagato, concesso dall'emirato di Abu Dhabi.

Il mercato immobiliare si è ripreso lentamente, ma a livelli del 50% inferiori a quelli del 2009. Se vi preoccupate per Beckham, sembra che la sua favolosa casa, nel frattempo aggredita dal clima del deserto, sia stata regalata alla suocera - evviva.

In Italia, noi non avevamo Rolls-Royce, ma, senza accorgercene più di tanto, anche il nostro patrimonio immobiliare, facendo riferimento all'anno 2006, è crollato di circa il 50%. Solo negli ultimi anni, i valori medi sono scesi di oltre il 15% (dati Istat), ma per le case vecchie la media è del 22%, e il che vuol dire che nelle aree più disagiate la perdita sul patrimonio teorico (vendere è ancora un'altra cosa) è stata di circa il doppio.

Se si analizza poi la ricchezza delle famiglie italiane, essa è composta per l'87% da immobili, aziende e oggetti di valore censiti. Occorrerebbe innanzitutto distinguere tra conto economico e stato patrimoniale, situazioni che ancora confondono commentatori di rango, ma nella sostanza, rappresentando ancora il patrimonio immobiliare una fetta ben più cospicua dei redditi da lavoro, si capisce perché lo Stato, negli ultimi anni, si sia applicato con particolare diligenza a tassare le proprietà.

La sintesi non è piacevole: la ricchezza è basata oggi sugli immobili; questi sono generalmente vecchi e non a norma; sono illiquidi (difficilmente vendibili), sovradimensionati rispetto alle reali esigenze, sovrastimati nei valori sperati di realizzo, soggetti a tasse e imposte percentualmente crescenti perché riferite a beni sempre meno di valore; severamente esposti a rischi di crisi generali.

Questo è il risultato di decenni di politica che non ha mai favorito l'economia, ma si è lasciata irretire dalla finanza mandando il paese dallo sfasciacarrozze Europa. Con quali risorse potremo mai ripagare il debito, peraltro non creato dalla popolazione ma da decisioni sovraordinate, se il tessuto industriale è stato massacrato, se non c'è mai stato un serio incentivo all'agricoltura e al turismo, se le tasse ci impediscono di respirare?

Voglio parlare della Sardegna, per terminare in maniera propositiva, perché una speranza c'è sempre. Non potendo contare sull'utopia dell'industrializzazione (peraltro ormai estesamente rifiutata dai sardi), noi, "Territorio Arretrato" come da categoria UE, abbiamo una sola strada, quella della valorizzazione capillare del nostro patrimonio culturale, artistico, archeologico, paesaggistico, artigianale ed enogastronomico. In questo è da includere la componente immobiliare: un paese o un rione "brutto" e disastrato può diventare, con un serio lavoro di riqualificazione, un borgo ricercato e appetibile. Man mano che il mercato immobiliare si affossa e comprare diventa meno interessante, cresce infatti il bisogno e la possibilità di affitto, legati però all'offerta di un bene allettante.

Per la Sardegna è questo il momento di ritornare a un modello keynesiano dell'economia, investendo nelle infrastrutture, nei collegamenti interni ed esterni e nella valorizzazione. Dobbiamo far diventare il nostro patrimonio degno del posto meraviglioso in cui ci troviamo, per portarlo a reddito. E il lavoro necessario creerà altro reddito e altre opportunità. Non esiste un'altra strada, non abbiamo più tempo. La strategia deve essere chiara, perfettamente espressa. In fondo è facile: dobbiamo tutti riprendere a lavorare (sì, lo so, è un brutto verbo, ma va detto) per la Sardegna.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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