Perché nella scuola italiana non si studia la civiltà nuragica? La domanda, rilanciata su questo spazio due settimane fa, ha alimentato un dibattito più che mai aperto. Tutto nasce da una petizione online dei promotori della mostra-evento Nuragica che, ieri sera, contava 10.306 firme. I libri di testo, a scuola, vengono adottati dal collegio dei docenti più o meno in questo periodo. L'Aie, l'Associazione italiana editori, propone un catalogo sul web anche per il prossimo anno scolastico. Non lo abbiamo consultato, ma siamo certi (felici di essere smentiti) che si continuerà a sorvolare, nei libri di storia, su quanto è accaduto in Sardegna, nel cuore del Mediterraneo, nell'età del bronzo medio, più o meno quindici secoli prima di Cristo. Mentre in mezza Europa costruivano palafitte e capanne, dalle nostre parti c'era chi realizzava nuraghi e pozzi sacri. Il deputato Mario Perantoni lo ha ricordato a Montecitorio illustrando un'interrogazione. Non risultano per ora risposte dal compagno di Movimento Marco Bussetti, ministro della Pubblica istruzione. È ovvio che non si cancellano in poche settimane decenni di disattenzioni, complice la politica e il sistema culturale sardo, insieme alla burocrazia libraria nazionale e a tutti gli interessi (economici, politici) che ruotano attorno. Figurarsi se ci si aspetta risposte in piena campagna elettorale per le Europee. Tanto più da un Governo formato da ministri in sintonia come i tifosi di Roma e Lazio. Lascia tuttavia perplessi, nella bella vivacità del dibattito, che non tutti, in Sardegna, abbiano colto lo spirito dell'iniziativa.

C'è chi, con autorevolezza di ruolo, ha sottolineato come abbia poco senso insegnare ai ragazzi veneti la storia sarda. Sarebbe legittimo, se accadesse, un discorso inverso. Il punto è un altro: la storia sarda va studiata in Veneto, in Umbria e in Sicilia non perché noi sardi abbiamo i nuraghi nella testa e nel cuore, ma perché quello che è successo qui qualche millennio fa (pensiamo anche alle recenti scoperte sulla statuaria) è di importanza straordinaria. Eppure il mondo ci ignora. Rilancio l'esempio di Alberto Angela. Viene qui ad esaltare le meraviglie del bronzo medio, paragonandole all'Egitto e a Troia, ma quando scrive di storia italica parte dagli Etruschi. Qualcosa non torna.

Nella sua prima intervista su L'Unione Sarda, il nuovo assessore alla Cultura, Andrea Biancareddu, gallurese di Tempio, ha auspicato che lo studio della civiltà nuragica venga introdotto nelle scuole dell'Isola. Ma in attesa che la Regione ci metta del suo, in molte classi questo già succede da anni grazie all'impegno di dirigenti e insegnanti non necessariamente folgorati sulla via di Barumini, ma sensibili alla nostra cultura.

Nei lunghi decenni durante i quali i giganti di Mont'e Prama dormivano (solo perché in attesa di risorse?) in un centro di restauro del Sassarese, tanti docenti, nel loro piccolo, senza medaglie, nemmeno di cartone, aprivano gli occhi a noi e ai nostri figli su una civiltà che ci circondava e ci circonda: quella nuragica. Rendiamo onore e gloria a questi nostri conterranei che hanno prodotto cultura sarda dalla cattedra. E rendiamo onore e gloria ai tanti appassionati che tra libri e campagne di scavi hanno visto diventare grigi i loro capelli, senza che il mondo sapesse cosa hanno toccato le loro mani, cosa hanno visto i loro occhi. Magari per le gelosie e le liti tra i grandi maestri dell'archeologia. Il loro motto? Teniamo lontane le orde di barbari dalla nostra civiltà. Lasciamo che gli smartphone assedino la piramide di Cheope o Stonehenge. Lasciamo che i nostri giovani archeologi diventino vecchi vivendo una vita da precari in una cooperativa figlia di una strampalata legge regionale. Oppure? Oppure cambiamo rotta. Iniziamo a riscrivere la storia nei libri di testo. Diciamo al mondo dove siamo, chi siamo e cosa abbiamo. Se questo può essere un mandato, una missione, chi ha il potere ci creda. Di tempo, tra dubbi, liti e chiacchiere, ne abbiamo già perso troppo.

Emanuele Dessì
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