Con quella faccia un po' così che hanno loro, mentre guidano l'auto o attraversano la strada. Né potrebbero averne un'altra, diversa dall'espressione attonita - assente di parvenza e di fatto - di chi è immerso occhi e mente nel display di uno smartphone, con le dita che corrono su quello schermo a digitare frasi senza importanza su cose senza importanza.

Gli esperti di viabilità di tutta l'Italia, e Cagliari non fa eccezione, si sono a lungo interrogati sul motivo per cui continuano ad aumentare i tamponamenti in generale su strade urbane, e sul perché la statistica schizza ancor più vertiginosamente verso l'alto se parliamo di pedoni. I dati raccolti dalle Polizie locali evidenziano che è sempre maggiore il numero dei pedoni coinvolti in incidenti stradali nei centri abitati, particolarmente nelle città con alti volumi di traffico.

E, per un pedone, incidente significa essere travolto da auto, furgoni, camion, bus e motociclette. Dagli ospedali - e dagli obitori - giunge un altro dato perfino più preoccupante: non soltanto i pedoni travolti, spesso sugli attraversamenti zebrati, sono sempre di più, ma riportano anche lesioni assai più serie e muoiono in quantità maggiore rispetto al passato. L'aumento di pedoni morti, oltre che lutti, porta a un'impennata dei risarcimenti assicurativi, che a sua volta fa aumentare i premi che paghiamo per le polizze. Stesso discorso per i feriti, che rischiano invalidità gravissime e oltretutto pesano sulla comunità per via delle altissime spese sanitarie che deve sostenere per le cure e la riabilitazione (se e nella misura in cui è possibile).

Tutto questo, avviene mentre i Comuni investono quel che possono - e possono sempre poco - sulla sicurezza stradale: sostituendo i semafori, installando i rilevatori di velocità, ridisegnando certe curve per renderle più "dolci" e riparando le buche che fanno perdere aderenza alle auto nelle manovre in condizioni di emergenza: ad esempio, quando sta finendo addosso a una persona che attraversa la strada. Il colpevole è quasi sempre lui: lo smartphone. Nel senso che lo è il conducente, che sempre più frequentemente ha l'accortezza di usare gli auricolari o il vivavoce della propria auto (a volumi enormi, al punto che chi si trova in un raggio di diversi metri sente distintamente che cosa dice l'amplificatissimo interlocutore della persona al volante), ma sfodera tutta la propria imprudenza con i social network e le app di messaggistica. Ammettere (nel senso di confessare, magari a se stessi) è il primo passo per porre rimedio.

E allora, mentre leggiamo queste righe, confessiamo almeno a noi stessi: anche noi, mentre guidiamo, leggiamo i post su Facebook, li commentiamo e mettiamo le faccine? Anche noi, mentre l'auto va e siamo ai comandi, digitiamo con una mano - e in un tempo infinito, compresa l'inevitabile correzione degli errori di digitazione, considerato in quali condizioni si scrive - un messaggio su WhatsApp? Chi è senza peccato lanci (in un burrone) il primo telefonino. Il fatto che poi, laggiù oltre il precipizio, gli smartphone siano rarissimi, conduce alla stessa conclusione cui sono giunti gli esperti: guidiamo e non guardiamo. A testimoniarlo, sono proprio i rilevamenti delle Polizie locali dopo che un pedone è stato investito sulle strisce pedonali: le frenate sono assai più brevi, rispetto alle medie di dieci o vent'anni fa, oppure mancano del tutto. Il motivo è semplice: il conducente non ha frenato, o l'ha fatto fuori tempo massimo per evitare di travolgere il pedone, perché era in altre faccende affaccendato: allo smartphone, appunto. Dunque, non sapeva - perché non ha guardato - che quel pedone fosse lì in quel momento.

Le verità più dure, spesso sono semplici. I dati di una città di media grandezza, ad esempio di Cagliari, aiutano a far luce su questo inedito, ma pericolosissimo, stile di guida: alla cieca. La statistica del capoluogo sardo nei primi nove mesi del 2019 (ultimo dato disponibile) indica che, in una città di circa 130mila abitanti, sono travolti da auto o altri mezzi oltre un centinaio di pedoni l'anno: significa uno ogni tre giorni, il che è un dato enorme se si pensa alle ridotte dimensioni demografiche della città. Solo per fortuna, è morta una sola persona: una donna di 48 anni. In molti casi, assicurano dal Comando della Polizia locale, i segni di frenata non ci sono "per il semplice motivo che non c'è del tutto stata una frenata", commenta il comandante, Mario Delogu. In altri casi, i segni della classica "inchiodata" sono del tutto tardivi, nel senso che iniziano pochissimi metri prima della collisione con il pedone.

"Il Codice della strada", ammonisce il comandante, "non consente l'uso del telefonino mentre si è alla guida". Nel senso che non si può avere in mano, qualunque sia il motivo per cui ci stiamo digitando o leggendo qualcosa sullo schermo: una telefonata, un messaggio, un post sui social media o la biografia di Gianni Morandi, che pure di urgente sembra non avere alcunché. E poi, occhio: se quando investiamo un pedone stiamo digitando o leggendo lo smartphone, l'accusa di omicidio stradale - con relativo pericolo di arresto immediato da parte della forza pubblica - è più che una probabilità.

"Certo, è difficile dimostrare che, al momento dell'investimento del pedone, il conducente stesse guardando lo smartphone", ammette il comandante della Polizia locale di Cagliari, "ma può bastare un testimone oculare o il video di una delle sempre più numerose telecamere di sorveglianza pubbliche o private, per avere una prova inoppugnabile", conclude Mario Delogu. Difficile estirpare questa pessima abitudine di guidare dedicando la nostra attenzione al telefonino, dunque senza guardare la strada: quando è possibile, gli agenti della Polizia locale sono spietati, specialmente se sull'asfalto c'è un cadavere.

Ma c'è un altro elemento che deve farci riflettere non quando siamo al volante, ma a piedi: prima di attraversare la carreggiata, togliamo gli occhi dal maledetto schermo e guardiamoci intorno, poi camminiamo continuando a osservare i mezzi che percorrono il nostro tratto di strada: proprio come fanno i bambini cui lo insegniamo. Già, perché l'utilizzo ormai costante dello smartphone ci ha rincretiniti a tal punto che, occhi sullo smartphone e musica negli auricolari, attraversiamo sempre di più la strada senza video e audio, cioè senza guardare (le auto) e sentire (clacson, frenate e motori).

Se mai esistesse una buona ragione per morire, o per trascorrere il resto della propria vita a letto o su una carrozzina, certamente non lo è un post su Facebook al momento sbagliato. Il mondo può attendere: noi, dobbiamo attraversare la strada.
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