«Vedete questo cappotto? Era di Alberto Rodriguez, io ho fatto tutto il mio percorso di cure tenendolo addosso». L’ex direttore editoriale di questo giornale non ce l’ha fatta ucciso da un tumore. Nicola Grauso, 76 anni, cagliaritano, ex proprietario de L’Unione Sarda - fino al 1999, quando la proprietà passò all’attuale editore Sergio Zuncheddu - invece oggi si sente vincitore. Ha camminato sulle braci di un cancro indiavolato ma l’uomo, qui e ora, sente di averlo domato. O perlomeno riportato a ragione per poterci dialogare da uomo a malattia, al netto di tutte le prognosi. Grazie alla scienza, niente di alternativo: «La medicina, la tecnologia, hanno fatto passi da gigante. La radioterapia oncologica è una meravigliosa arma in più alla quale tutti dovrebbero poter ricorrere. Avere il diritto. Alberto sarebbe ancora qui, il mondo è cambiato».

L’inizio

Tutto è cominciato a febbraio. La diagnosi asciutta: carcinoma a piccole cellule, inoperabile. «Uno dei tumori più aggressivi, se gli lasci un attimo riprende vigore». Grauso è un imprenditore che ha preso la vita a morsi e, muovendosi secondo logiche spesso incomprensibili per chiunque eccetto che per lui, ha provato a bypassare il futuro. Oggi ha appena messo in saccoccia una condanna a 5 anni per il crac di Epolis ma una nuova gerarchia esistenziale gli consente di non parlarne, in passato sarebbe stato diverso. Anche i nemici più caldamente e sinceramente ostili gli riconoscono un talento visionario, la capacità di divinare (a suo modo) i segni del domani che verrà dal presente che abitiamo. E tutti, comunque, lo ricorderanno con una sigaretta maltrattata fra il dito indice e il medio ingialliti. «Quante al giorno? Non lo so, sessanta, ottanta, non le ho mai contate». L’iconografia oggi va aggiornata perché ha smesso di fumare: «Qualcosa la devi dare anche tu, ti devi impegnare, io ci ho messo l’abbandono delle sigarette».

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Io e il cancro

Bisogna conoscere le regole della dialettica di Grauso - erratica, sarcastica, complessa, affaticata a fine conversazione - per riuscire a seguirlo fino in fondo. Anche perché l’uomo si annoia facilmente e non ama ripetersi. Sulla malattia però è un ragioniere: preciso, pignolo, dettagliato. «Ho iniziato con sei sedute di chemioterapia, poi sei sedute di immunoterapia. A quel punto mi hanno parlato della radioterapia, del come e del quando. Ma io ho iniziato a cercare, a studiare. Ho identificato quelli che sono qualificati come Centri di eccellenza e li ho visitati tutti, i nomi li conoscete. Lo Ieo e l’Humanitas, il San Raffaele. E, per fortuna, l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, Verona. Ho chiamato al telefono, mi hanno dato un appuntamento dopo sette giorni, così è iniziato tutto». Per le migliaia di persone che stanno facendo lo stesso asperrimo percorso e si sentono escluse dalle via d’accesso privilegiate per ricchi e famosi, c’è una rassicurazione: «Intendiamoci, io per loro non ero nessuno e probabilmente neanche adesso sanno chi sono, ammesso che siano interessati. Ero un paziente, anzi ero un uomo. Con cui parlare di vita, di figli adottati, di normalità senza sentire la presenza ingombrante, immanente, del cancro in ogni parola e in ogni atteggiamento».

Il paziente

«Così sono arrivato in un posto perfetto, avete presente?». Forse no, i cittadini sardi che tentano di non annegare nella sanità di casa nostra faticano a ritrovarsi in un contesto di asserita perfezione. «A Verona ho trovato un ospedale dove tutto è come dovrebbe essere, le segretarie non si stancano di dare spiegazioni esaustive, gli infermieri ti accolgono con un sorriso, i medici ti guardano negli occhi e ti fanno sentire un essere umano di cui si prenderanno cura. Ho conosciuto Filippo Alongi, il direttore del reparto di Radioterapia oncologica avanzata, e gli ho detto: è troppo bello, non è credibile e, mi creda, non ho alcun interesse per lei. Poi Matteo, il cognome non me lo ricordo perché lo chiamo per nome, il direttore di Medicina nucleare. Poi un giovane medico di Messina che è praticamente il mio account manager. C’è un direttore d’orchestra che organizza tutti i passi e una squadra che funziona senza neanche una sbavatura con una precisione estetico-funzonale mai vista. Faccio un esempio che sembra di poca importanza: sono andato all’Humanitas per due volte in sette giorni e lo stesso ascensore era sempre sporco. Non vuol dire nulla, magari c’è solo un addetto che ha poca voglia di lavorare, ma a Negrar non mi è mai successo e questo mi ha colpito. In un contesto sereno e umano i medici si sono riuniti, hanno deciso quali erano le radiazioni utili nel mio caso, hanno istruito le macchine, non ci sono stati danni collaterali nei tessuti perché sono raggi intelligenti calibrati al millimetro. La radioterapia oncologica non è un miracolo, in alcuni casi non funziona, ma è una formidabile arma in più».

Video n line fu fondata da Nicola Grauso
Video n line fu fondata da Nicola Grauso
Video On Line fu fondata da Nicola Grauso

È andata così

Per chi lo conosce, l’entusiasmo di oggi assomiglia a quello che dell’uomo che voleva portare Internet nel mondo quando la rete era ancora quella da pesca. «Sono felice: metastasi cerebrali azzerate, il tumore ai polmoni ridotto. Oggi mi sento come uno che ha un’aspettativa di vita di novant’anni, il mio cervello non è mai stato così a posto, non ho percezioni negative e non so più cos’è la depressione, lavoro con una potenza che non conoscevo e una motivazione fortissima. Dialogo con mio nipote di 26 anni con soddisfazione, abbiamo tanti progetti. Per questo mi domando: perché ho potuto avere questa opportunità e altri no? Perché sono meno bravi di me col computer e hanno meno amici con cui informarsi? Perché non hanno qualche soldino da parte? È mostruoso e inaccettabile, per questo oggi racconto la mia storia e non mi stancherò di fare domande. Che cosa impedisce che in Sardegna nasca, anzi nascano, centri di eccellenza? Cosa aspettano, i politici, a cambiare le modalità di rimborso per gli interventi fuori dall’Isola mettendo tutti in condizione di poter andare fuori visto che qui non si garantisce la parità con il resto del Paese?».

L’oggi e il domani

Nel 2025 Radiolina e Videolina festeggeranno i loro primi 50 anni. L’imprenditore che le ha tenute a battesimo giura di essere felice. «Ascolto poco la radio, anche se dovrei dire il contrario per essere politicamente corretto. Ma sono un grande consumatore di televisione, il mio momento di relax è quando mi metto a letto e guardo la tivù: Videolina mi piace proprio, ha programmi interessanti, quei due che girano il mondo sono straordinari». Internet? All’uomo di Video on line, il primo provider italiano, scappa una smorfia: «Quest’anno sono 30 anni, avevamo fatto un tour del web in oltre 40 nazioni per portare Internet anche in Cina. Nessuno ha speso una parola per celebrarlo ma va bene così. Previsioni sbagliate? Tante. Pensavo che la rete avrebbe avuto un effetto salvifico, liberatorio, e parzialmente lo ha avuto. Ma non immaginavo questa evoluzione. Se mi devo comprare un posacenere vado su Amazon anziché scendere nel negozio in strada. Ma sbaglio. La nostra terra va difesa senza fanatismi, con rigore e serietà, tenendo il carico a bordo perché altrove qualcuno vuol decidere come va il mondo. Anche il nostro».

Lorenzo Paolini

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