L’epidemiologo Sotgiu: “Bene le riaperture ma con cautela, il vaccino da solo non ci mette al riparo”
Il docente di Statistica medica dell'Università di Sassari: “Variante indiana, molto bassa la protezione della prima dose”
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È ottimista persino il severissimo Cts, il Comitato tecnico scientifico. Nella generale corsa alle riaperture, l'unico virus veramente contagioso, vivaddio, sembra essere la fiducia. Ma davvero possiamo cominciare a tirare un sospiro di sollievo? «Sì, a patto che ci si comporti con la massima cautela», avvisa l'epidemiologo Giovanni Sotgiu, docente di Statistica medica dell'Università di Sassari. «Il punto è che non dobbiamo tener conto soltanto di ciò che succede in casa: il nostro sguardo va sempre rivolto al contesto internazionale e quel che sta succedendo nel Regno Unito con la variante indiana, chiamata Delta, ci deve tenere in allarme».
Perché?
«Perché la variante indiana potrebbe arrivare anche da noi. L'ultimo rapporto del Public Health England, cioè l'Istituto superiore di sanità britannico, nel confronto con la variante inglese ha rilevato un incremento della contagiosità che sarebbe addirittura del 40%; in realtà alcuni lavori parlano del 60%. Non solo, ci sarebbe anche un incremento della severità clinica, il rischio di un aumento di due volte e mezzo dei ricoveri in ospedale e, l'aspetto che più fa paura, la riduzione della sensibilità alla prima dose di vaccino».
Significa che il vaccino è inefficace?
«Sia per AstraZeneca che per Pfizer si è rilevato che la protezione dopo la prima dose è del 33%, quindi molto bassa. Con il richiamo di AstraZeneca saliamo a quasi il 60%. Ma c'è anche un altro problema...».
Quale?
«La diffusione della variante Delta nelle scuole, tra bambini e adolescenti. Sono tutti dati che stanno portando il governo a rivalutare la riapertura totale prevista per il 21 giugno. Dobbiamo osservare cosa è successo in un Paese come il Regno Unito dove il 60% della popolazione è vaccinata con prima dose e il 40,8% ha ricevuto anche la seconda...».
In Italia non abbiamo ancora quei numeri.
«Noi siamo al 21,4% di protezione vaccinale con due dosi; al 42% con una (in Sardegna il 45%, ndr). Quindi va benissimo riaprire tutto, però con estrema cautela».
Con l'avvio della stagione turistica sarà davvero possibile praticare cautela e precauzioni?
«La strategia elaborata dal Consiglio Europeo per controllare la mobilità nei Paesi dell'Unione tra zone epidemiologiche con rischio diverso, è buona. Il sistema a colori, su base regionale, ci dà l'opportunità di valutare le zone a rischio e definire il livello di controlli. Sarà fondamentale monitorare gli spostamenti ed evitare che tutta l'Italia e tutta l'Europa vengano considerate aree verdi: ad esempio in Francia, ci sono zone che possono rappresentare un rischio. Per non parlare poi del Regno Unito».
D'estate usciamo tutti di più, in quali situazioni può esserci un rischio?
«L'aumento della socialità è inevitabile. Non parlo solo di aggregazione, penso ai concerti, ai ritrovi dentro alcuni locali che non sono necessariamente le discoteche. Anche nei bar ci possono essere condizioni di rischio e proprio per questo il rispetto delle regole è fondamentale».
Per i concerti e le sagre sono previsti protocolli stringenti. Non bastano?
«Sì, il problema è l'applicazione: molto spesso il rispetto delle misure è basso. La scorsa estate, già a luglio, nei ristoranti e nei bar non si vedevano mascherine, i contenitori della soluzione alcolica erano vuoti… Non possiamo ripetere questi errori».
Però questa estate abbiamo il vaccino.
«Certo, è una variabile molto importante rispetto all'anno scorso, ma in realtà in Italia solo il 20% delle persone ha una protezione completa, è poco rispetto ad altri Paesi come il Regno Unito. Bisogna ricordare che la protezione del vaccino non è del 100%. Uno studio fatto in Danimarca dimostra come ci sia una variabilità protettiva in diverse fasce di popolazione: tende a ridursi negli ultra 85enni e nei pazienti lungodegenti. Quindi quel 20% non significa che sono tutti protetti, per questo abbiamo necessità di crescere come protezione vaccinale. Poi, ripeto, c'è l'altro problema: il rischio della circolazione della variante indiana, ma anche di quella sudafricana».
Quindi l'esplosione dei focolai della scorsa estate deve restare un monito?
«Sì, come tutte le ondate. Sottostimare il rischio quando c'è bassa circolazione del virus è una leggerezza che si paga sempre. Noi l'abbiamo visto per primi quando dalla zona bianca siamo passati alla rossa, tanto che veniamo presi come esempio negativo dai governatori che citano l'effetto Sardegna. Va detto poi che lo stesso si è visto un po' in tutte le regioni. Il problema è il meccanismo dell'interruttore: acceso-spento, massima allerta o tutti tranquilli».
Le discoteche le aprirebbe?
«L'attenzione non va posta solo sulle discoteche ma su tutti i locali al chiuso. Anche i bar, come quelli dei nostri paesi, piccoli e con ventilazione carente, possono rappresentare condizioni di rischio. Insomma, non è il locale in sé quanto le condizioni che si creano all'interno».
Piera Serusi