La negazione delle donne: il commento di Maria Antonietta Mongiu
"La Sardegna è al quarto posto per violenza sulle donne, altro che matriarcato..."Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
L'adagio del "Giorno del giudizio" di Salvatore Satta sull'esserci solo perché c'è posto, riferito alle donne ma in realtà a tutti perché tutti inessenziali, scava come un fiume carsico e non smette di interrogarci.
La statistica che vede la Sardegna al quarto posto per violenza sulle donne scardina, irreversibilmente, retoriche e luoghi comuni su matriarcati e matricentricità; e riassume un humus di negazioni profonde, ancestrali, antropologiche, sottolineate persino dalle modalità degli ultimi femminicidi.
L'emergenza impone, in prima istanza, di interpellare chi opera negli spazi pubblici e privati: dai centri antiviolenza alle forze dell'ordine; dalle amministrazioni statali agli enti locali; dalle iniziative culturali, disseminate nel territorio, all'educazione sentimentale. Che fare, accertata l'interdipendenza tra violenza e desertificazione pedagogica, di cui raccontano Invalsi, Ocse Pisa, Istat, Censis? Cosa aspettarsi da luoghi deprivati di pedagogie se non accadimenti tragici che spazzano via consolidati paradigmi sulle nostre comunità?
Perché se la violenza agisce in Sardegna contro le donne e, a ritmi compulsivi, contro gli amministratori locali, a maggior ragione, la negazione delle donne, di cui il femminicidio è gesto finale, interpella, in forme dirimenti quanto dirompenti, la politica. La sovrasta come un macigno perché della negazione delle donne la politica è il convitato di pietra se non addirittura il pontefice massimo con officianti che vanno moltiplicandosi.
In Sardegna è sintomatica persino l'estetica delle prossime elezioni, referente com'è dell'invisibilità e dell'ininfluenza delle donne nel massimo luogo della decisione, la politica appunto. Se ne deduce che un'iconografia che cancella oltre metà della popolazione consegna alla storia l'ètos malato della Sardegna e la sua latente disfunzionalità.
Fallita ogni operabilità dei decisori politici, esageratamente disponibili verso le donne negli slogans, urge scomodare le categorie gramsciane. Rinvengono, in Sardegna, nella crisi culturale le ragioni della crisi della politica che non ha ancora capito l'assunto di Simone de Beauvoir che "donna non si nasce, lo si diventa" e che percepisce le donne sospese tra inadeguatezze di alcune, replicanti modi e ruoli maschili, e di altre che agiscono una femminilità accattivante e in vendita per un niente di potere o di credibilità.
A manca e a destra, perché quando si tratta di negare l'alterità, sfumano le differenze tra visioni ideologiche. In entrambi gli schieramenti di norma le donne sono vissute, indistintamente, ancillari, costrette come sono a subire la coazione del disconoscimento. Si pensi a come Berlusconi cercò di salvare la faccia garantendo quote rosa, persino più del richiesto. Ma plus e selezione, secondo i tribunali, erano degni del backstage di cui #MeToo ha squarciato il velo.
Non fu esente la sinistra, tanto che nella resuscitata "Tv delle ragazze" compare la "sconosciuta del Pd", impossibile nel PCI dove c'erano la "gregaria" e, anche, la "groupie" ma insieme al corrispettivo "gregario". La mutazione dei partiti ha messo in crisi lo schema che nell'isola ha resistito se la stessa invenzione, nella XIII Legislatura, del listino di donne fu in realtà la foglia di fico di uno schema correntizio, suggestivo mediaticamente quanto inefficace. Ci si chiede pertanto se la vexata quaestio della mistica di genere e della solidarietà tra sorelle abbia ancora domicilio e se le donne di diversa sensibilità, comprese le cooptate a vario titolo, abbiano pari autorità. È un caso se la rappresentanza femminile più cospicua oggi in Parlamento è del M5Stelle, senza le battaglie campali che hanno stremato le donne di altre appartenenze su cursus honorum, gregarietà, selezioni variamente organizzate o curricula? Basta un clic degli amici. Sul merito la macchietta della "sconosciuta del Pd" mette al bando moralismi e critiche perché comunque il numero delle donne in Parlamento è aumentato come mai prima.
Cambierà la politica? È avvenuto nelle professioni e in Europa nei piani alti della politica perché statistiche e massa critica hanno fatto la differenza. Aumenteranno insieme le contraddizioni sulla definizione di genere e su quel grumo, sempre sottaciuto, del rapporto tra donne e potere. Un nodo irrisolto anche per intellettuali come Rosa Luxemburg o Hannah Arendt, che fece in tempo a vivere il 68 e, nel suo melting pot, intravvide l'irreversibile e planetaria rivoluzione femminista, pacifista e, finalmente, nella forma organizzata e politica.
Solo un diffuso femminismo che oltrepassi il ruolo di genere, non meno oppressivo e prevaricante del paradigma che vuol ribaltare, e la questione di genere, come un problema di minoranze, consente protagonismo e rappresentanza.
Perché quando le pari opportunità non saranno concessioni o improvvise cooptazioni sull'onda di estemporanee emotività si sconfiggeranno disconoscimento e negazione delle donne, terreni di coltura del muliericidio di massa ancora più devastante del femminicidio.
Maria Antonietta Mongiu