Si avvicina il gran giorno: domenica torneremo al voto. Eppure non si avverte, né da parte dell’elettorato sardo, né da parte dei nostri diciotto candidati regionali, l’entusiasmo necessario per essere davvero competitivi nei confronti degli agguerritissimi rivali siciliani, già di per se stessi avvantaggiati per essere supportati da un elettorato locale numericamente di gran lunga superiore al nostro.

Non starò qui a lamentarmi della circostanza sebbene i motivi ci siano e siano pure stringenti: la Sardegna, per il suo peculiare dato demografico, avrebbe dovuto costituire circoscrizione esclusiva per poter garantire ed esprimere una sua autonoma rappresentanza in Europa. Ed è forse proprio la consapevolezza di non combattere ad armi pari a spuntare l’entusiasmo della popolazione. Ma non credo sia solo questo.

Mi piace ricordare che proprio in questo periodo, più o meno, lo scorso anno, i nostri quotidiani locali annunciavano, in forza di un report realizzato da Eurostat su dati del "Regional Gdp per capita" relativi all’anno 2017, il declassamento della Sardegna (pil pro capite pari a euro 20.600) che dalla qualifica di "regione verso lo sviluppo" passava a quella di "territorio ancora arretrato", il che, e in un certo qual modo non c’è certo da gioirne, pare porterà nelle casse pubbliche il 30% di finanziamenti in più nel prossimo periodo di programmazione 2021-2027, finalizzati evidentemente a ridurre le disparità esistenti rispetto alle altre regioni italiane virtuose, e ovviamente europee (ove il pil pro capite si registra intorno ai trentamila euro), e ad avvicinarla alla media standard di queste. Peggio di noi, in Italia, solo Puglia (con un pil pro capite di euro 18.400) e Sicilia (con un pil pro capite di euro 17.500).

Il dato registrato è evidentemente assai preoccupante non solo perché testimonia in maniera inequivocabile una situazione allarmante di impoverimento del Paese, ma anche perché induce a presagire che questo stesso arretramento economico possa determinare, nel medio e lungo periodo, come da più parti rappresentato, anche una perdita di rilievo politico della nostra bella Italia in seno all’Unione Europea. Eppure mai come in questo momento la nostra Isola ha avuto così bisogno di esprimere uno o più dei suoi rappresentanti all’interno del Parlamento Europeo, perché, inutile nasconderlo, abbiamo bisogno dell’Europa in Sardegna per poter essere, un giorno, Sardegna in Europa. Una chimera? Chi può dirlo, ma provarci con impegno e determinazione è un imperativo categorico.

Intanto, perché già con la Risoluzione del Parlamento Europeo sulla condizione di insularità del 2016, fortemente voluta e proposta dall’allora eurodeputato sardo e forzista del Ppe Salvatore Cicu, si era riusciti a portare con decisione all’attenzione dell’intera Unione Europea la debolezza strutturale delle regioni insulari e, di conseguenza, la necessità di intervenire attraverso l’erogazione di fondi strutturali e di misure di fiscalità di vantaggio dirette a tradurre nei fatti quel tanto ambito principio di coesione territoriale (già consacrato sulla carta col Trattato di Lisbona), che è evidentemente l’anticamera e/o passaggio obbligato come dir si voglia, verso la realizzazione della imprescindibile coesione economica e sociale dei territori svantaggiati, nella specie appunto le isole, con il resto del Paese e dell’Europa.

Quindi, perché il riconoscimento della condizione di insularità come condizione di obiettivo svantaggio non deve valere solo a collocarci in una situazione di limbo privilegiato utile solo a colmare il divario strutturale che da sempre patiamo, ma deve influire direttamente, dandogli impulso, sul nostro assetto governativo locale siccome la realizzazione della tanto decantata e desiderata fiscalità di vantaggio presuppone necessariamente speciali forme di autogoverno che noi ancora non siamo riusciti a realizzare malgrado la specialità statutaria che ci contraddistingue, con la conseguenza che la mancanza di esercizio di autonomia piena si è riverberata direttamente sul nostro regime fiscale determinando l’impraticabilità del meccanismo della ridetta fiscalità di vantaggio.

Infine, perché per valorizzare al meglio il risultato conseguito davanti al Parlamento Europeo con la Risoluzione sulla condizione di insularità, è necessario ancora fare leva sul principio di coesione territoriale ed economico-sociale sia per poter incidere sulla normativa vigente in materia di aiuti di Stato, sia per colmare gli enormi disagi in termini di sovra-costo e non solo, che noi sardi purtroppo conosciamo bene, in materia di mobilità, di infrastrutture stradali e ferroviarie, di sostegno alle imprese.

E se è vero, come è vero, che per tantissimo tempo la nostra condizione insulare ha costituto il nostro punto debole, ed era fattore di grave isolamento, è altrettanto vero che ora abbiamo la possibilità di proseguire nel percorso fino ad oggi tracciato per trasformarla (la condizione insulare si intende) nel nostro vero punto di forza esigendo dalla nostra "madre matrigna" Europa l’adozione di politiche infrastrutturali fattualmente incisive e dirette a garantire lo sviluppo delle popolazioni residenti nonché l’accrescimento, la conservazione e l’intelligente impiego delle risorse locali.

L’obiettivo è arduo, ma vale la pena combattere per raggiungerlo perché la nostra situazione geografica, che potremmo addirittura definire anche ultra-periferica considerata la modesta estensione territoriale della Sardegna, determina non solo la nostra inevitabile dipendenza dal sistema di trasporto marittimo e aereo con tutto ciò che ne consegue in termini di costi, ma anche la limitatezza del mercato locale e la conseguente mancanza di varianza produttiva dipendendo le isole, normalmente, da monoproduzioni come agricoltura e pesca, nonché l’incessante processo di spopolamento dovuto, appunto, alla mancanza di risorse.

L’Europa ci chiama, e noi sardi abbiamo il dovere di renderci presenti se davvero vogliamo continuare ad incidere sulle politiche dell’Unione. Disertare le urne e/o non esprimere un voto davvero consapevole potrebbe costituire un autogol che piangeremo per lunghi anni mordendoci le dita.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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