E poi si scopre che la Sardegna fa scuola, per quanto riguarda la richiesta di riconoscimento ufficiale dell'insularità. Già, perché in Sicilia si sono sentiti ispirati dalla battaglia sarda (che ha già superato la fase della commissione Affari costituzionali del Senato) e, basandosi su uno studio econometrico, hanno bussato alle porte del Parlamento. È una partita che vale nove miliardi di euro l'anno per la Sardegna, e poco meno ai sei miliardi e mezzo per i siciliani.

L'alleanza

I Riformatori sardi, che molti anni fa hanno proposto questa battaglia cui hanno poi aderito tutti i partiti presenti in Consiglio regionale, non si sono affatto offesi, nemmeno per il fatto che lo studio econometrico dei siciliani è stato commissionato allo stesso istituto (il "Bruno Leoni") cui si erano già rivolti i sardi. E i sardi non si alterano, malgrado la Sicilia faccia riferimento a una sentenza della Corte Costituzionale sul caso sardo: aveva stabilito che lo Stato debba «porre in essere una leale collaborazione con le autonomie territoriali nella gestione di politiche di bilancio». Al contrario, sorride Michele Cossa, non per caso presidente della commissione Insularità in Consiglio, «è il momento di allearsi, di unire le forze con la Sicilia, che come noi paga il fatto di essere staccata dalla penisola. È un'idea condivisa da tutti i consiglieri della Commissione». Tra Scilla e Cariddi, o ben più modernamente tra Villa San Giovanni in Calabria e Messina, ci sono poco più di tre chilometri di mare. Per quanto riguarda la nostra isola, il discorso è ben più serio. Ecco perché, con i nostri 1,6 milioni di abitanti, ci spettano più soldi di quanti ne chiedono i cinque milioni di siciliani.

Il calcolo dei fondi

Proprio l'Istituto "Bruno Leoni" ha stabilito le cifre del danno che le due isole maggiori devono soffrire per il fatto di non confinare con il resto del Paese. «La menomazione del Prodotto interno lordo per la Sardegna è di 5.700 euro l'anno per abitante», spiega Cossa, «mentre per la Sicilia è di 2.123 euro l'anno per abitante». Il riconoscimento in Costituzione dello stato svantaggiato di insularità, significherebbe ricevere questo "indennizzo" ogni anno da parte dello Stato.

La formula

Non devono essere necessariamente soldi, quelli che la Sardegna - e ora anche la Sicilia - devono aspettarsi dallo Stato in quanto «regioni svantaggiate». Michele Cossa individua diversi modi attraverso i quali i sardi, e in misura minore anche i siciliani, possono essere risarciti per il loro innegabile svantaggio geografico. «Non ci aspettiamo che nelle case dei sardi arrivi ogni anno un assegno da 5.700 euro ciascuno», sorride il presidente della commissione Insularità, «e non necessariamente che lo Stato trasferisca nove miliardi l'anno nelle casse della Regione. Ovviamente questa cifra può diventare ad esempio una fiscalità di vantaggio che alleggerisca la pressione sui sardi, o ancor meglio infrastrutture che ci rendano più competitivi a livello nazionale e internazionale. Una parte di quei nove miliardi», aggiunge Cossa, «può tradursi in facilitazioni per il trasporto di passeggeri e merci. Oppure tutte queste cose messe insieme». Il percorso in Parlamento continua, ma ora la partita non è più Sardegna contro resto d'Italia. Perché in campo c'è anche la Sicilia.

Luigi Almiento

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