Il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha deciso di riservarci un’amara sorpresa imponendo dazi pesantissimi sui prodotti nazionali più prestigiosi, soprattutto del settore agroalimentare, quali il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. E la cosa peggiore è che l’Organizzazione Mondiale del Commercio ne ha legittimato l’iniziativa con una sentenza che autorizza gli Usa a imporre questi dazi all’Europa per un valore di 7,5 miliardi siccome i fondi pubblici concessi illegalmente ad Airbus avrebbero creato agli Stati Uniti, tanti e tanti anni fa, danni considerevoli.

Stando alle dichiarazioni del presidente americano, la finalità da perseguire sarebbe quella di favorire i lavoratori e le famiglie americane giacché le politiche ispirate al protezionismo avrebbero il doppio effetto di indurre la disincentivazione alla delocalizzazione delle imprese e di sollevare un muro impenetrabile nei confronti degli scambi internazionali, i quali rappresenterebbero un pregiudizio inaccettabile per le produzioni locali.

L’atteggiamento di Trump verso anche il nostro Bel Paese, onestamente, non mi sorprende affatto. Anzi, mi sorprende chi si sorprende perché la ricordata contromisura americana in fondo riflette chiaramente la necessità di sopperire alle difficoltà degli Usa nel fronteggiare, in maniera vincente, il confronto sul piano economico internazionale nell’ambito del quale, appunto, il nostro "Made in Italy" la fa da padrone.

Dal canto suo, il premier italiano Giuseppe Conte, nel dirsi preoccupato per la circostanza, ha dovuto ammettere che la situazione "non è facile, nonostante gli ottimi rapporti anche personali e gli ottimi rapporti tra i due Paesi".

Ma quali sono le reali motivazioni e le finalità che sostengono la scelta di politica economica praticata da Trump? È una decisione di carattere prettamente economico oppure nasconde precise finalità politiche di natura ritorsiva? L'imposizione di dazi sui principali prodotti di importazione contribuisce realmente a tutelare le imprese e i prodotti americani? L’Europa come può reagire? Di certo, a voler prescindere da qualsivoglia considerazione ulteriore, la scelta di Trump riflette soprattutto evidenti ragioni di stampo politico che si rivelano di gran lunga maggiormente determinanti rispetto a ragionamenti diversi o ulteriori.

Intanto perché, a volerla dire tutta, la volontà di colpire il "Made in Italy" risponde alla specifica esigenza di "punire" l’Italia per aver quest’ultima aderito, non più tardi di qualche mese fa nel pieno operare della esperienza di governo giallo verde in occasione della visita di Xi Jinping, al progetto meglio noto come "via della seta" mediante la sottoscrizione del famoso "Memorandum of Understanding" con la Cina, che ha l’ambizione di collegare Asia, Europa e Africa secondo una specifica iniziativa avviata fin dal 2013 dal presidente cinese. Quindi perché proprio gli Stati Uniti, in quella circostanza, attraverso il portavoce del National Security Council, Garret Marquis, avevano avuto modo di esprimere il proprio scetticismo "sul fatto che il sostegno del governo italiano" alla Cina avrebbe potuto portare benefici sostanziali, finendo per danneggiare, piuttosto, "la reputazione globale dell’Italia sul lungo periodo". Poi perché l’Italia, con la sottoscrizione del "Memorandum", ha in buona sostanza assunto una posizione diametralmente opposta a quella degli storici alleati di oltre oceano intenzionati a frenare a tutti i costi l’espansione cinese, considerata una pericolosa minaccia idonea a limitare la propria influenza globale: la finalità principale in politica non è il guadagno in sé e per sé quanto piuttosto il potere. Infine perché, sul piano squisitamente economico, non si capisce in che modo i dazi introdotti da Trump dovrebbero rivelarsi utili a contrastare il fenomeno della delocalizzazione delle imprese siccome, all’evidenza, non incidono sulle imprese con residenza fiscale negli Stati Uniti le quali, meglio precisando, nel momento in cui siano operative all’estero non subiscono dazio di sorta allorquando importano un bene intermedio da un Paese estero per portare a termine il ciclo del prodotto negli Stati Uniti.

Diversamente da quanto dichiarato da Trump, i dazi finiranno per essere completamente ininfluenti sul piano dello sviluppo dell’occupazione nel settore manifatturiero. Ma se l’intento è quello di punire l’Italia, in particolare, in considerazione degli accordi con la Cina, come possiamo difenderci in maniera efficace? È fin troppo chiaro che questa nuova guerra commerciale non possa e non debba essere gestita singolarmente dagli Stati maggiormente interessati dall’imposizione dei dazi, ma debba essere affrontata con decisione da Bruxelles se si vuole conservare la credibilità dell’Unione stessa. Se l’Italia e con essa chiaramente l’Europa volessero davvero risolvere il "contenzioso" sui dazi, dovrebbero innanzitutto mostrare la massima solidarietà nei confronti dell’alleato americano costituendo un fronte comune con lo stesso che miri, come contropartita per la migliore soluzione della vicenda, a imporre dazi sui prodotti provenienti da Pechino aventi la finalità di bloccare l’avanzata cinese in occidente. Ciò si tradurrebbe in un cambio di passo dell’attuale maggioranza di governo rispetto alle decisioni di quello immediatamente precedente, tuttavia sarebbe utile provarci. La tutela del Made in Italy lo impone e certamente né l’Europa né l’Italia sarebbero altrimenti in grado di fronteggiare una guerra commerciale col colosso americano.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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