E arrivò il giorno delle dimissioni. Per la chiesa diocesana di Cagliari inizia oggi, formalmente, il dopo-Miglio.

L'arcivescovo Arrigo, nel celebrare con familiarità e riservatezza sardo-piemontese il suo 75esimo compleanno, si è rivolto ai suoi più stretti collaboratori della Curia con queste parole: "Nella Chiesa in cammino di Papa Francesco non ci può essere nessun semestre bianco ma si deve continuare a lavorare come se io me ne fossi già andato, come se davanti a noi ci fossero altri cento anni".

Monsignor Franco Puddu, vicario generale della diocesi, descrive l'arcivescovo come una "persona sempre sul pezzo, alla guida della Chiesa locale come in ogni momento della sua vita".

IL DOPO MANI - Assistente nazionale degli scout cattolici, Miglio arriva a Cagliari dopo il passaggio del ciclone Mani. "Una pesante eredità", afferma Bruno Terlizzo, per anni vaticanista de L'Unione Sarda. "Quella di Cagliari era una comunità lacerata da tensioni e incomprensioni, alimentate da malintesi protagonismi e assenza di dialogo tra il pastore e una parte dei fedeli". Cresciuto alla scuola di monsignor Luigi Bettazzi, Miglio ha saputo ricucire con certosina pazienza gli strappi, cercando in silenzio le soluzioni più opportune. Apparentemente assente, ha ricomposto i tasselli della comunione ecclesiale, lontano dai riflettori, come già aveva fatto a suo tempo un altro indimenticabile piemontese, Giovanni Canestri.

Silenzioso tessitore e attento ascoltatore del mondo laicale.

I LAICI - "Ero presidente dell'Azione cattolica. Il primo ricordo che ho di monsignor Miglio", dice Andreina Pintor, "è legato alla nomina di quattro assistenti alla guida dei settori nei quali si articola l'associazione. Un chiaro segnale di attenzione, la decisione di investire sul laicato organizzato. Confermato poi dalla decisione di chiamarmi alla segreteria della Consulta delle aggregazioni laicali che monsignor Arrigo decise subito di ricostituire come luogo di incontro e di confronto fra laici e clero. Ciò che da subito mi ha colpito è stato il suo porsi, sempre e comunque, in ascolto. Un atteggiamento da prete, prima ancora che da vescovo. Silenzioso e meditativo, talvolta può aver dato l'impressione di lontananza e distacco quando invece è il suo tratto identitario di pastore e guida della diocesi".

L'UMILTÀ - "Schivo d'onori e d'applausi", aggiunge suor Francesca Diana, responsabile regionale delle religiose. "Ci ha invitato a essere presenti lì dove, per altri, è difficile andare, e pronte ad accogliere e ascoltare con tenerezza e semplicità ogni fratello. Mi è rimasto impresso il suo richiamo all'umiltà. Non è umile - ci ha più volte ribadito - colui che si pone all'ultimo posto, non mettendosi in gioco, rifiutando ogni servizio perché teme di sbagliare e perdere la stima degli altri; è umile, invece, chi gioca la sua vita nella verità, assumendo le responsabilità proprie e della storia, non temendo d'esporsi e quindi d'essere giudicato".

Paolo Matta

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