Nessuna guerra, se non davanti a un giudice. Giuseppe Melis, il titolare del chiosco dei panini in piazza Madre Teresa di Calcutta (noto come il parcheggio del Cis), a Cagliari, chiarisce e smorza. Ma non arretra, e anzi difende la sua posizione: «Hanno tolto il pane dalla bocca dei miei figli e dei bambini dei miei figli».

Tutto comincia con l’inizio dei lavori per la metropolitana leggera. Melis riceve la comunicazione: il chiosco dovrà essere spostato di qualche decina di metri. Poco male, se non fosse che il nuovo spazio a disposizione passa da 64 a 21 metri quadri: qua l’ambulante storce il naso, ma – a suo dire – qualcuno dalle istituzioni gli garantisce che, con un bel lavoro effettuato, nessuno gli farà storie per la metratura in eccesso. Melis incassa e inizia a costruire la nuova casa dello “Sfizio”: nel frattempo, prosegue il lavoro nel precedente punto di ristoro. 

«A maggio del 2022», dice, «viene effettuato un primo accertamento edilizio sul nuovo chiosco. Due mesi dopo, a luglio, arriva la sospensione di 33 giorni per la mia attività». E il regolamento dice che, sforati i 40 giorni nel biennio, scatta la decadenza della concessione. Siamo ad ottobre, quando Melis viene sanzionato con altri 33 giorni di sospensione, riferiti ad una violazione commessa ad agosto, perché l’abuso non è stato ritirato: ecco la decadenza.

«Non ha avuto il tempo tecnico», spiega il legale Marcello Medici. «Inoltre c’era un sequestro in atto, non era possibile agire. L’atteggiamento è poco dialogante, sanzionatorio e punitivo: non si può rimuovere una licenza di vent’anni, con pagamento totale del suolo pubblico, con due accertamenti nel giro di due mesi». Ma l’avvocato lamenta un’altra incongruenza: «La decadenza è avvenuta per un motivo diverso da quello previsto dal regolamento, ovvero l’occupazione abusiva del suolo in cui si svolge l’attività. Ma nella nuova struttura non c’è mai stata, proseguiva nell’altro chiosco».

Dopo il mese di stop, Melis riprende a lavorare nonostante la decadenza: «Dovevo mangiare», spiega. Almeno sino a quando, nel gennaio scorso, “Lo sfizio” viene rimosso dalle forze dell’ordine: «Sembrava un film di guerra, c’erano più di cinquanta uomini». Non se lo aspettava, lamenta disparità di trattamento, «c’è chi lavora da anni senza concessione», poi si dice disposto a correggere il tiro: «Mi hanno tolto un’autorizzazione storica, faccio l’ambulante da cinquant’anni, mi interessa che ce la ridiano. Dobbiamo tornare indietro? Smontiamo tutto, ci prendiamo quei 21 metri quadri e non se ne parla più. Io voglio lavorare e mettere di nuovo in carreggiata i miei figli e i miei nipoti».

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