Se ti avventuri dentro uno dei 410 canali tombati che attraversano pericolosamente in lungo e in largo paesi e città della Sardegna capisci subito che la sfida è stata persa. Il tentativo di infilzare sotto le case un fiume d'acqua imbrigliando natura e pendenze, recuperando spazi e volumetrie, è fallito miseramente, senza appello. Crollato con l'incedere dei cambiamenti climatici ma soprattutto per l'ingordigia del costruire ovunque, sfidando all'inverosimile le regole auree della natura.

Montagne deboli

Le montagne non reggono più l'incedere della speculazione, abbandonate, deturpate da tagli selvaggi, dalle incursioni ottocentesche dei Savoia ai giorni nostri, da incendi virulenti che ne hanno distrutto la resistenza sino allo sfruttamento spinto, arando costoni dalla pendenza da arrampicata. Alla fine la concomitanza del tempo ha portato i dilavamenti del terreno ad incrociarsi con i mutamenti climatici in grado di far saltare per aria ogni pessimistica previsione delle calamità naturali, prima inquadrate in un lasso temporale di 200 anni e poi, invece, di appena sette.

L'illusione della siccità

Ed è così che quei corsi d'acqua dentro i paesi, coperti per l'egoistica illusione che la siccità non li rigonfiasse più, sono diventati il pericolo numero uno per la sicurezza dentro i centri abitati. Le immagini di Bitti sono eloquenti, non acqua dentro il Paese ma una montagna di detriti impossibile da contenere e arginare con quei maledetti "canali tombati", pensati e realizzati per collegare strade e costruire nuove case, ed ora detonatore sotto i piedi di migliaia di edifici. Canali che sono lì sotto, ma non si vedono. Nascosti dall'asfalto e dal quotidiano vivere in un assetto urbanistico che li ha inglobati come fossero sepolti per sempre, senza sussulti. Non è così. Entrare dentro uno di questi canali, dai paesi dell'interno alle città, è come varcare un budello diventato sgabuzzino dimenticato. Negli atti blindati del Ministero dell'Ambiente, dopo la prima tragedia di Bitti, nel 2013, e ancor prima quella di Villagrande, è depositato il tentativo di censire quel sottosuolo imbrigliato da cemento armato e pietre.

Dati da brivido

I dati che ne emergono sono da far accapponare la pelle. Dei 410 canali tombati della Sardegna, quelli ritenuti in zone a rischio, solo 110 sono risultati schedati. Fiumi schiaffati sottoterra per 56 km. Nel primo documento del Ministero appena 46 comuni li avevano dichiarati. Su quei 110 schedati solo 13 erano stati dichiarati in buono stato di manutenzione, per 46 stato medio, per 47 scarso e su 3 nessun dato.

Canali abbandonati

Le dichiarazioni a verbale sono disarmanti: solo in 31 canali su 110 è stato effettuato un intervento di pulizia negli ultimi 4 anni. Le singole schede sono un'ammissione di negligenza e di impotenza. Quei corridoi fluviali nascosti sotto il sedime stradale sono già di per sé contronatura se, poi, risultano intasati da ogni genere di rifiuti e detriti è fin troppo comprensibile che, quando la natura deciderà, il fiume riagguanterà, senza chiedere il permesso, i suoi spazi naturali.

152 Comuni

Oggi, nell'ultimo censimento solo numerico, sono 152 i Comuni sardi, su 377, che hanno dichiarato di essere attraversati da canali tombati. Appena 46 hanno dichiarato di non averne nel proprio territorio comunale. Ne mancano all'appello 179. Di certo le recenti alluvioni, concatenate con eventi franosi, e conseguenti colate detritiche di imponenza straordinaria, impongono un'accelerazione emergenziale senza precedenti.

Corte dei Conti

A metterlo in rilievo è la Procura generale della Corte dei Conti che con una relazione straordinaria sullo stato idrogeologico del Paese, approvata alla fine dello scorso anno, mette sotto accusa ritardi e procedure, tempistiche e responsabilità che si inseguono senza un perché. I dati della giustizia contabile sulla Sardegna sono impietosi con tanto di ammissione di inefficienza da parte della Regione. Sotto esame da parte dei togati dei conti pubblici c'è l'ultimo riparto di fondi pubblici statali destinati alla progettazione: la Regione Sardegna risultava destinataria di 12 milioni di euro per ventitré progetti, per un importo totale degli interventi da realizzare di oltre 421.000 milioni di euro.

Progetti dimenticati

Un dato disarmante: gran parte di quei soldi per la progettazione delle opere non sono stati mai spesi. E conseguentemente le opere mai fatte. La Corte dei conti li richiama: «Di questi progetti si segnalano per dimensione gli interventi strutturali di superamento delle problematiche idrauliche connessi alla copertura dei canali di Cagliari per un importo della progettazione di 1,908 milioni di euro e un importo di lavori di 80 milioni; interventi di mitigazione del rischio idraulico a Rio Mannu - Cixerri per un progetto del valore di 771 mila euro e 21 milioni di euro di costo per intervento, opere di adeguamento di attraversamenti stradali esistenti sulla viabilità provinciale e comunale ad Assemini, Cagliari, per una progettazione di 2.244.000 milioni e 80 milioni di lavori, le opere di difesa idraulica della città di Bosa, per 1 milione e 432 mila per la progettazione e 66 milioni di lavori».

Bitti senza progetti

«La messa in sicurezza del centro abitato di Bitti per una progettazione di oltre 1,52 milioni di euro per interventi mai fatti, e ancora le opere di salvaguardia nel bacino di Rio Mogoro per una progettazione di oltre 800.000 euro e lavori di oltre 40 milioni. Infine le opere idrauliche della bassa Valle del Rio Coghinas per 857.000 euro di progettazione e circa 24 milioni di lavori». La Corte dei Conti prende atto che la spesa certificata, rispetto ai 12 milioni per la progettazione, è stata inferiore al 75% del primo acconto. In pratica sui tre milioni erogati, ne sono stati spesi appena due. Per questo motivo, è scritto nella relazione dei giudici, «non si è potuto procedere alla richiesta di erogazione della seconda quota».

Le giustificazioni

La Regione si è giustificata: abbiamo avuto una notevole mole di interventi e di risorse finanziarie da gestire e la carenza di risorse economiche da destinare alla costituzione di un'adeguata struttura operativa. Alla fine molti interventi, tra cui quelli previsti per Bitti, sono stati delegati alla Sogesid, società di Stato dedita a gestire progettazioni e opere pubbliche nel settore idrico e idrogeologico. Il bando è stato avviato a settembre, appena due mesi fa. I fondi erano disponibili da sette anni. Una valanga di detriti e di fango, una montagna di denari sempre annunciati e mai spesi, progetti campati per aria e ora da rifare. I canali tombati, le montagne abbandonate e i corsi d'acqua spariti hanno dimostrato con tutta la loro imponenza che il tempo è drammaticamente scaduto.

Mauro Pili
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