Un disegno di legge sulle aree idonee lungo un centinaio di pagine da esaminare e alla fine approvare entro i primi di gennaio. E un rischio tale da rendere drammatica questa corsa contro il tempo: se nei prossimi giorni la Corte Costituzionale si pronunciasse a favore della sospensiva della moratoria chiesta dal Governo, verrebbero meno anche i pochi limiti che oggi impediscono agli speculatori delle rinnovabili di presentare richieste per l’installazione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici in Sardegna. È lo scenario in cui si trova a operare il Consiglio regionale che da due giorni ha in pancia il testo delle aree idonee.

Si parte

Mercoledì si parte nella commissione Urbanistica presieduta da Roberto Li Gioi (M5S) con l’audizione degli assessori competenti, e si prosegue nei giorni successivi con l’ascolto di tutti i portatori di interesse, tra cui i sindaci e i Comitati. Tutti sono alle prese con la lettura degli allegati al ddl approvato giovedì scorso in Giunta. I sindaci restano prudenti. Il problema è che una mappa delle aree idonee non esiste e non esisterà: il provvedimento di attuazione del decreto Pichetto Fratin offre una disanima dei criteri e delle condizioni che i territori devono rispettare per essere definiti idonei, non idonei, ordinari. In pratica, ha dichiarato la presidente Alessandra Todde, «la maggior parte del territorio sardo sarà no idoneo a ospitare impianti per la produzione di energia rinnovabile».

I nodi

Ma le sue parole non sono bastate a fugare tutti i dubbi dei sindaci, degli stessi consiglieri del Campo largo e ovviamente delle opposizioni. Tra gli altri, c’è un passaggio del testo che non convince una buona parte della maggioranza, ed è quello inserito all’articolo 3 sulla possibilità dei Comuni di chiedere l’installazione di un impianto anche all’interno di un’area individuata come non idonea. La richiesta di deroga sarebbe a quel punto deliberata dal Consiglio comunale non prima di un «dibattito pubblico» dove siano coinvolte le popolazioni interessate. Un articolo che ha fatto discutere, e del quale fin da subito alcuni esponenti di maggioranza hanno chiesto lo stralcio. Altre perplessità forti sulla fascia di rispetto tra impianti e siti archeologici. La legge nazionale prevede un range tra i due e i sette chilometri. Ma la Giunta ha scelto la soglia minima dei due chilometri. Perché?E ancora: nel disegno di legge c’è scritto che «sono vietate specifiche tipologie di impianti in aree non idonee anche se l’autorizzazione è in corso. Ma sempre dalla maggioranza qualcuno fa notare che le autorizzazioni sono in capo al ministero. Come può una legge regionale revocarle? Non c’è il rischio di contenziosi?

Cisl

Intanto, il segretario della Cisl Pier Luigi Ledda indica alla politica sarda la strada da percorrere: «Quanto prima deve essere organizzata una conferenza regionale con l’obiettivo di rivisitare il piano energetico regionale. Per il sindacato, il punto cruciale della questione sono le decisioni adottate dal decreto Draghi: «il nodo sono i 6,2 gigawatt di potenza minima. Sono norme che compromettono i poteri autonomistici della Regione e che non tengono conto del reale fabbisogno energetico dell’Isola». La Sardegna, aggiunge Ledda, «ha un potenziale enorme in termini di rinnovabili: proponiamo un regime contributivo che riconosca vento e sole come beni pubblici».

Roberto Murgia

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