L'editoriale del direttore, Emanuele Dessì, dedicato alle alghe, incubo - quest'estate più che mai - sulle spiagge della Sardegna.

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Ormai siamo al chi tocca muore. Parliamo di alghe. E a rischiare la morte (amministrativa, chiariamolo subito) sono guarda caso i sindaci, costretti all’immobilismo davanti a quelle pareti color petrolio. Cartina di tornasole della salute del nostro mare, ci ripetono sino alla nausea.

Rimuoverle senza il rispetto di un rigido e costoso copione corrisponde a un avviso di garanzia.

Le Procure fanno il loro lavoro: applicano la legge. Il problema è sempre la politica, il legislatore a Bruxelles e a Roma. Tralasciamo anche per ragioni di spazio i trattati di biologia marina, limitandoci a constatare che quest’estate forse più che in passato il mare molto ha dato e molto meno si sta riprendendo.

La bibbia, in Sardegna, è una determinazione dell’assessorato agli Enti locali che, a fine marzo - con in premessa norme comunitarie e nazionali - ha indicato come pulire "le spiagge libere dalla posidonia spiaggiata" senza rischiare una denuncia.

Ci sono due possibilità, la prima fa a cazzotti con il buonsenso. I Comuni, preautorizzati, devono d’estate "parcheggiare" il maltolto in "zone appartate" (c’è scritto proprio così) e, d’inverno, rimetterlo dov’era, in riva al mare. C’è anche un’altra via, la "rimozione permanente". Alghe e posidonia vanno asportate (possibilmente con un rastrello, al massimo con mezzi meccanici leggeri) e trasferite in una discarica comunale "o in un altro sito idoneo".

Date di inizio e fine lavori vanno comunicate alla Capitaneria e agli Enti locali. I sindaci non solo devono vigilare sull’operato dei funzionari, ma devono spendere soldi che non hanno.

Passando dalla burocrazia al turismo, il ritornello "stessa spiaggia stesso mare" non vale più per bagnanti stanchi qua e là di affondare in quella poltiglia umida e maleodorante, avvolti da nuvole di insetti.

Saranno pure un indicatore della salute del mare, ma appare forse ancora più sano cambiare spiaggia. Non ci resta che sperare nel vento.
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