L’evento

Sardegna Pride, un’onda arcobaleno invade Sassari 

In migliaia tra bandiere, striscioni,  e “corpi in rivolta” contro i pregiudizi 

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“Siamo l’isola più bella!”: tra le decine di slogan e motti è quello che si staglia con più forza nel Sardegna Pride 2025, ieri tra le strade di Sassari trasformate dall’onda arcobaleno e da migliaia di partecipanti. Un panorama di bandiere, striscioni ma soprattutto corpi, “corpi in rivolta” come recita il claim dell’evento organizzato dal Mos, Movimento omosessuale sardo, che torna nel capoluogo turritano dopo le ultime due edizioni cagliaritane.

Orgoglio di popolo

Corpi come quello di Manuela, che viene da Sant’Antioco, e “censura” con due pezzi di nastro adesivo scuri parte del seno. «Per me questo però è solo un petto – dichiara –. Sono non binary e non sento di essere accettata». Il rifiuto della propria persona da parte della società, vista nella sua interezza, di aspetto esteriore e pensiero non conforme ritorna nelle affermazioni dei presenti che sfilano per le vie del centro storico dietro carri da cui si scatena una colonna sonora che abbina il rétro di Renato Zero e Nada con l’eterna Raffaella Carrà, Mahmood e Tony Effe. Ed è un popolo “orgoglioso”, che sfugge a categorie e incasellamenti, trasversale dal punto di vista dell’identità di genere e anagrafico, che unisce adolescenza ed età matura. «Ho 16 anni e sono genderfluid – riferisce per esempio uno studente sassarese, lunghi capelli ricci, gonna e reggiseno come unico abbigliamento –. A scuola talvolta vado vestito così. Se non mi accettano sono affari loro». Marco Bianchi invece, 41 anni olbiese, porta sul petto la fascia di Mister Bear Sardegna 2022. «Bear come “orso” – dice – per sfuggire allo stereotipo del gay glabro e palestrato. Io invece ho la pancetta e sono peloso». Sua moglie è “Galaxya”, drag queen da 18 anni: «Ormai sono questo nella vita di tutti i giorni. Mi esprimo così».

Una galassia

Lo scenario è giocoso, divertito e divertente ma, pur nella gioia, emergono storie che raccontano l’Isola e l’Italia. «Sono di Cagliari – racconta Federico, 45 anni – e ho dovuto trasferirmi prima a Bologna e poi in Spagna per vedermi riconosciuto qualche diritto». Lui si definisce “cis gay, demisessuale”. «Voglio prendere la cittadinanza spagnola e smettere di pagare le tasse in un paese che non mi riconosce». “Zdamino”, nome d’arte nel mondo del leather, di chi veste cioè di cuoio, sostiene lo stesso concetto ma riferito alla Germania: «Il mio compagno va al lavoro vestito di pelle e nessuno gli dice nulla». Accanto a loro scorrono un ventaglio di associazioni, che vanno da quella dei partigiani alla Cgil, all’Agedo, i familiari delle persone queer, e all’ordine degli psicologi. «In tanti vengono da noi- dichiarano le dottoresse Noemi Fenu e Melania Demartis- perché non sanno come comunicare la propria vulnerabilità ai genitori». Il messaggio Lgbtqia+ fa poi crossover con quelli di appoggio alla Palestina, oppure che chiedono la fine di tutte le guerre. Nessun insulto, a parte qualche frecciata contro la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, e lodi in coro invece per Michela “Murgia save the Queer”, la scrittrice di Cabras scomparsa nel 2023. E anche quando si risponde a chi giudica il Pride una “pagliacciata” le parole suonano ironiche. “Io sono “Gavina”- ribatte Antonio, 1 metro 90 arrampicati su tacchi vertiginosi –. Vengo dal Monte Arci per convertire gli omofobi. E no, non sono un dio, ma una dea». Alla fine del corteo tutte le associazioni leggono un documento politico in cui risalta un concetto su tutti: «I corpi in rivolta lascino i social e tornino a protestare in piazza».

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