Il grande pubblico appassionato di fotografia conosce Franco Pinna soprattutto come il maestro che ha raccontato la Sardegna e la sua gente dai primi anni Cinquanta attraverso l’uso del bianco e nero potente e asciutto. Nel centenario della nascita dell’artista della Maddalena il Man di Nuoro offre ora una occasione ghiotta di conoscerne un aspetto inedito con la mostra “Franco Pinna. Sardegna a colori. Fotografie recuperate 1953-67”, ideata dall’Archivio intitolato all’artista e curata da Paolo Pisanelli con il suo laboratorio Officine Visioni.
Linguaggi
La riflessione sul linguaggio fotografico nel rapporto con l’Isola che il museo guidato da Chiara Gatti va proponendo negli ultimi anni si arricchisce così di un capitolo di particolare interesse con la proposta di un corpus a lungo dimenticato e che attraverso il colore racconta uno sguardo diverso di Pinna. Il percorso espositivo, composto da circa ottanta opere tra stampe fotografiche a colori — in larga parte raramente esposte - e materiali d’archivio, propone fino al primo marzo prossimo immagini frutto di un lungo lavoro di recupero e restauro digitale delle cromie originali, accompagnate da fotografie di raffronto dello stesso soggetto in bianco e nero. Una selezione di pubblicazioni d'epoca, fra cui Vie Nuove, Noi Donne, L’Espresso e Panorama, spiega la ragione del suo impegno con il colore, destinato alle riviste del tempo e alle loro pagine patinate.
«Negli anni ’50- osserva Pisanelli - Pinna non è soltanto un precursore della fotografia antropologica, in luoghi e regioni del Sud e periferie della Capitale dove la vita inquadrata superava i limiti del neorealismo, è anche fotogiornalista per molte riviste e fotografo di scena per il cinema realizza molti reportage su dive e protagonisti sui set in Italia e a Cinecittà, dove aveva iniziato a lavorare giovanissimo, dopo il trasferimento dalla sua Sardegna». La mostra prende avvio da Orgosolo 1953, prima campagna fotografica a colori realizzata da Pinna in Sardegna, per poi attraversare le tappe più significative della sua produzione isolana: “Canne al vento” (1958), “Argia a Tonara” (1960) immagini per il celebre volume “Sardegna”. “Una civiltà di pietra” (1961), fino alle cronache sul banditismo e le proteste dei pastori del ’67.
Una vita
Reporter tra i più noti del suo tempo e autore di oltre 300 mila scatti, Pinna - che morì a Roma nel 1978 a soli 52 anni - è stato una figura centrale del neorealismo fotografico italiano. Dopo la militanza nella Resistenza romana e una breve esperienza come operatore di documentari, esordì nel 1952 nella cooperativa Fotografi Associati - da lui fondata con Plinio de Martiis, Caio Mario Garrubba, Nicola Sansone e Pablo Volta - e seguì Ernesto De Martino nelle spedizioni etnografiche in Lucania e Salento. A partire dal 1964 divenne fotografo di fiducia di Federico Fellini che così lo descrisse: '«Franco Pinna? Una calma da cow-boy in un film di Sergio Leone. Un quarto d'ora per guardare l'avversario, un quarto d'ora per tirare fuori la pistola. Una lentezza da subacqueo, da astronauta, nel bel mezzo del frastuono della troupe'».
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