Il primo marzo 2002 l'Italia saluta definitivamente la propria moneta, la lira, così come altri undici Paesi degli allora quindici membri dell'Unione europea.

Per mesi, fin quando euro e lira hanno convissuto, gli italiani hanno girato con calcolatrici (il tasso di cambio viene fissato a 1936,27 ₤), decisi a non farsi "beffare" dai negozianti. E già un po' immalinconiti dalle sconosciute banconote.

Il clima politico nel nostro Paese è diviso tra euforia e scetticismo. Tra i sostenitori c'è Romano Prodi, all'epoca presidente della Commissione europea: "Si apre un'epoca che creerà un forte e crescente senso di identità europea". Mario Monti, anche lui allora Commissario, scrive che la nuova moneta "non è espressione di uno Stato ma di una precisa scelta di civiltà".

Meno entusiasta l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nostalgico "perché sapete", dice, "quando uno ne ha fatte tante di lire".

All'estero sono molte le voci che si dicono contrarie all'introduzione dell'euro: tra questi diversi premi Nobel per l'Economia come Joseph Stiglitz, Milton Friedman e Paul Krugman.

La polemica principale è quella di aver creato un inutile aumento indiscriminato dei prezzi.

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