Chiudere gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a carbone entro il 2025 e decarbonizzare il sistema energetico al 2050 in Sardegna è possibile e porta molti posti di lavoro.

Lo sostiene una ricerca, realizzata per conto del Wwf dall'Università di Padova e dal Politecnico di Milano, dal titolo "Una valutazione socio-economica dello scenario rinnovabili per la Sardegna".

Secondo lo studio, date le caratteristiche geografiche, economiche e infrastrutturali dell'Isola e considerata l'assenza di rete gas, l'Isola potrebbe rappresentare un contesto particolare nel percorso di decarbonizzazione nazionale.

È infatti tra le Regioni che più hanno potenziale di transitare direttamente ad un sistema energetico in linea con le ambizioni comunitarie al 2050, grazie all'ampio potenziale di fonti energetiche rinnovabili e un parco infrastrutturale energetico già obsoleto.

Per mantenere in sicurezza il sistema elettrico sardo, lo studio ipotizza due scenari di transizione al 2025-2030, senza prevedere investimenti nel metano: sviluppo di impianti di pompaggio per una capacità complessiva di 400 MW (come proposto anche da Terna), sviluppo di generazione a idrogeno verde associata ad impianti di accumulo del vettore stesso. In questo scenario di transizione l'idrogeno viene utilizzato solamente per il bilanciamento elettrico e il livello di elettrificazione è considerato a metà strada rispetto al 2050. Le simulazioni suggeriscono che la dismissione degli impianti a carbone sardi non deve essere necessariamente accompagnata dalla realizzazione di nuovi impianti termoelettrici a metano, ma può essere sostituita da nuovi impianti di pompaggio o nuovi impianti Power-To-Hydrogen. 

Il gas naturale non viene considerato nemmeno nel medio termine come un'alternativa tecnologica "ponte". 

La Sardegna inoltre potrebbe rappresentare il contesto ideale per anticipare anche la penetrazione della filiera idrogeno verde nei sistemi elettrici.

La realizzazione degli scenari al 2030 necessita di circa 3-4 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2021-2030, mentre per lo scenario di neutralità climatica al 2050, gli investimenti addizionali richiesti sono stati valutati in circa 18-20 miliardi di euro.

Di notevole importanza anche le ricadute economiche ed occupazionali. Al 2030 gli occupati diretti nel settore delle rinnovabili potrebbero ammontare a circa tre-quattromila unità a seconda delle diverse configurazioni. Al 2050, invece, gli occupati diretti potrebbero salire a circa otto-novemila unità.

Per questo, emerge dallo studio che l'ipotesi di puntare alla metanizzazione oltre ad essere in contrasto con i contenuti degli accordi internazionali sul clima, limita il processo di transizione energetica.

Inoltre, con l'implementazione degli scenari proposti al 2030 e 2050, la Sardegna potrebbe non solamente superare i target europei sulle emissioni di gas serra, ma anticiparli, ponendosi in tal modo a livello globale come esempio di modello virtuoso.

"Lo studio smentisce molte delle dichiarazioni che si leggono in questi giorni sui giornali della nostra isola – sostiene Carmelo Spada, Delegato del Wwf Italia per Sardegna – il gas è il passato, le rinnovabili sono il futuro e assicurano che il 'combustibile' (sole e vento) sia sempre disponibile in natura. Chi pensa di metanizzare oggi la Sardegna e basarsi sul gas per altri 30 anni non ha certo a cuore né i posti di lavoro, né l'indipendenza energetica dell'Isola. Peraltro, proprio in Sardegna hanno enormi potenzialità anche le comunità energetiche, fortemente legate ai territori e alla realtà dei comuni dell'entroterra sardo. La ricetta per lo sviluppo sostenibile è a portata di mano, chi vorrebbe prendere altre strade non lo fa certo nell'interesse dei sardi".

(Unioneonline/F)

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