E’ presto, troppo presto, per lo champagne. Onorato & company non possono ancora brindare, nonostante il Tribunale di Milano abbia ammesso sia la Moby che la Cin-Tirrenia alla procedura di concordato preventivo. I giudici non hanno approvato la proposta di riassetto del debito ma si sono limitati, come era nel loro potere, ad avviare un tortuoso e accidentato percorso che porterà i creditori a votare, entro dicembre prossimo, per il piano di concordato presentato dalle due compagnie. Un voto non scontato, visto che il piano di restituzione del credito è tutt’altro che rose e fiori. Anzi, i numeri, quelli racchiusi nei documenti ufficiali, lasciano intendere che gran parte dei creditori, a partire dallo Stato, non potranno mai avallare il piano di Onorato e famiglia.

Il caso Tirrenia

Per comprendere sino in fondo cosa realmente c’è scritto nell’atto dei giudici bisogna, per esempio, andare a vedere cosa prevede il piano per il debito di Onorato con lo Stato, quello da 180 milioni di euro per il mancato pagamento della Tirrenia. La tabella finanziaria non ammette sintesi più efficace: lo Stato perderà l’80% del suo credito verso Onorato. In pratica recupererà, forse, 36 milioni a fronte di un debito di 180, con una perdita secca di soldi pubblici di ben 144 milioni di euro.

Bagno di sangue

Un bagno di sangue per le casse pubbliche senza precedenti. E’ anche per questo che i Commissari di "Tirrenia in amministrazione straordinaria”, il braccio statale che ha venduto a Onorato la compagnia che fu pubblica, stanno impugnando in tutti i modi, e a tutti i livelli, il piano, sostituendosi giudiziariamente anche alla stessa Cin che avrebbe dovuto recuperare una valanga di soldi dalla compagnia di famiglia, la Moby. E’ evidente che i tre commissari della ex compagnia pubblica non potranno mai votare a favore di un recupero inesistente del proprio credito proprio perché, avallandolo, andrebbero incontro a un danno erariale rilevantissimo che li vedrebbe chiamati a risponderne in prima persona.

Navi vendesi

La Cin, secondo i piani presentati al Tribunale, prevede di disfarsi entro il 2022 di tre navi, “Isola di Capraia”, per un 1,9 milioni, “Beniamino Carnevale” (6,8 milioni) e “Bithia” (29,5), queste ultime due impegnate sulle rotte sarde, per complessivi 38,2 milioni di euro. Altre due navi verrebbero dismesse nel 2024, la Janas e l’Athara, per 62,4 milioni. Una riduzione della flotta che coincide con la fine della convenzione per la continuità territoriale. Ed è proprio questo aspetto ad indurre giudici e attestatori ufficiali a più di una cautela sulle ipotesi prospettate da Onorato nel piano. Il quesito di fondo, che emerge nei due provvedimenti dei giudici, quello della Cin e quello della stessa Moby, è esplicito: se i debiti accumulati negli ultimi anni sono stati così rilevanti con la disponibilità di 72 milioni di euro di contributi pubblici e a fronte di una concorrenza limitata, come si potranno migliorare i conti senza quei contributi, con meno navi e con una concorrenza più che agguerrita? L’attestatore ufficiale non lo manda a dire: a maggio del 2021 c’è già stato uno scostamento rispetto alle previsioni di Onorato del meno 47% per i passeggeri di Moby, mentre per le merci si è registrato uno divario tra il previsto e l’accertato del 9%. Segnali che lasciano comprendere, sia per i giudici che per l’attestatore, la criticità e la fragilità dei conti proposti dall’armatore.

Il caso Moby

Se lo Stato creditore non festeggia, non hanno da saltellare di gioia nemmeno coloro che hanno riempito le casse di Onorato con il bond da 300 milioni recuperati nella Borsa di Lussemburgo con l’emissione del 2016. Basti pensare che 200 milioni del bond verranno ripagati con appena il 9% del loro iniziale valore. In sostanza gli investitori perderanno 181 milioni e recupereranno appena 18 milioni. Non proprio un affare. Dei complessivi 536 milioni che la Moby deve a banche e creditori finanziari ne verrebbero (forse) restituiti 241, 306 milioni persi. Anche in questo caso la compagnia prevede di mettere in vendita 4 navi, la Moby Wonder e Aky, la “Giuseppe Savarese” e la “Pietro Manunta” per un valore complessivo di 94 milioni.

Commissariate

Il 13 dicembre prossimo si vota il piano di Moby, il 20 dicembre quello di Cin. Nel frattempo i giudici hanno blindato totalmente le due società. Non solo hanno nominato tre commissari giudiziali per monitorare il rispetto del piano sino al pronunciamento dei creditori ma hanno imposto “l’assoluta autonomia della nuova governance in totale discontinuità rispetto all’attuale gestione”. Come dire, fuori Onorato dal timone, adesso Moby e Tirrenia sono commissariate.

Mauro Pili

© Riproduzione riservata