Commercialisti e avvocati specializzati nelle curatele fallimentari sul piede di guerra per i tagli ai compensi previsti nel nuovo Decreto legge Ristori.

Sono proprio gli addetti ai lavori, in una lettera inviata a deputati e senatori, a spiegare la situazione e a chiedere l'intervento del Parlamento.

Nella missiva si esprime la "viva e crescente preoccupazione" dei dottori commercialisti e degli avvocati che prestano la propria attività nell’ambito delle procedure concorsuali "alla luce delle recentissime notizie diffuse dagli organi di stampa in merito all’imminente taglio del 25% dei compensi liquidati nell’ambito delle procedure concorsuali, a maggior ragione se esteso ai compensi dei Curatori fallimentari".

"Tale misura - viene spiegato - farebbe parte del nuovo pacchetto di provvedimenti sulla crisi di impresa, destinato a confluire subito nel Decreto-legge Ristori ter (in sede di conversione in Aula), oppure nel quater, il prossimo giovedì. I contenuti sono stati illustrati dal capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia, Mauro Vitiello, durante il convegno organizzato dalla Associazione albese studi di diritto commerciale. Per diminuire i costi delle procedure concorsuali sarebbe, appunto, prevista la riduzione immediata del 25% dei compensi professionali, legandone la corresponsione all’esito stesso. Il taglio al 75% dei costi prededucibili in discorso, nel caso degli accordi di ristrutturazione, sarebbe invece legato alla loro omologazione, mentre – nel caso dei concordati preventivi – verrebbe correlato all’apertura effettiva della Procedura".

Ma, lamentano commercialisti e avvocati, in questo modo "i curatori fallimentari, all’atto della chiusura della procedura concorsuale (che sovente rimane aperta anni, generalmente a causa dei tempi lunghi richiesti per la definizione della cause civili precedenti all’apertura del fallimento, o intentate dalla curatela, nonché dei procedimenti penali conseguenti alla dichiarazione di fallimento) subiranno un indiscriminato taglio del 25% dei compensi, e ciò anche sulle procedure di minori dimensioni nelle quali già ora i correnti compensi non sono sufficienti a coprire i costi di gestione delle procedure concorsuali medesime".

Inoltre, "chi assiste una impresa in crisi nella predisposizione di un accordo di ristrutturazione del debito finalizzata al risanamento, oppure della predisposizione di un piano di concordato preventivo, potrà contare sulla prededucibilità dei propri onorari soltanto al 75% (mentre per il 25% concorrerà al riparto delle somme disponibili unitamente ai creditori anteriori all’apertura dello stato di crisi), e soltanto nel caso di buon fine della procedura".

Insomma, "un po’ come se il medico chiamato al capezzale di un malato grave venisse pagato solo se il malato guarisce, e comunque limitatamente al 75%, giacché per il 25% dovrebbe vedersela con eventuali altri creditori".

Il risultato, proseguono commercialisti e avvocati, "sarà inevitabilmente che i professionisti assisteranno le imprese in crisi solo a condizione che i pagamenti possano essere eseguiti da un soggetto terzo (per esempio dall’imprenditore con proprie finanze estranee all’azienda), mentre l’imprenditore sfortunato, in crisi e senza finanza esterna al perimetro aziendale, finirà inevitabilmente col fallire, con perdita di posti di lavoro e di gettito per l’Erario".

In conclusione, chiosa la missiva, "è di tutta evidenza come un provvedimento di questo tenore andrebbe a incidere drammaticamente sulla sostenibilità economica della attività professionale di quei dottori commercialisti ed avvocati che hanno scelto nel tempo di prestare la propria opera nel settore della crisi d’impresa".

Di qui la richiesta al Parlamento, e dunque al Governo, di un "pronto intervento", per evitare quello che viene definito "un disastro annunciato".

(Unioneonline/l.f.)
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