«È un dramma sociale. Non solo economico. E chi ci governa lo capirà solo quando forse sarà troppo tardi». Roberto Bolognese, presidente regionale di Confesercenti, non nasconde la frustrazione nel rinnovare per l'ennesima volta l'appello per la salvezza dei piccoli negozi ancora aperti in paesi e città della Sardegna. «In gioco ci sono servizi essenziali per la cittadinanza, ma anche la sopravvivenza di centinaia di migliaia di posti di lavoro».

Negli ultimi 15 anni l'Isola ha perso oltre cinquemila negozi e la crisi sembra così irreversibile che attualmente per ogni nuova apertura si contrappongono in media 3,5 serrande abbassate per sempre. E non si sta certo parlando di esercizi di nicchia come calzolai, sarti, falegnami, tappezzieri, orologiai o fotografi. «Stiamo perdendo bar, negozi di alimentari, di abbigliamento, ottici e botteghe artigianali che hanno ancora un'enorme valenza sociale», prosegue Bolognese. «Nelle città, ma soprattutto nei piccoli centri che ogni giorno cercano di lottare contro lo spopolamento. Ecco perché se non si inverte la rotta avremo solo il deserto nelle nostre strade». 

Al centro anche il tema occupazione: «Non dobbiamo dimenticare che il commercio in Sardegna garantisce, nonostante la crisi, il 18% dell'occupazione regionale».

Confesercenti punta il dito sugli amministratori che avrebbero il compito di «indirizzare la dinamica del commercio», «con misure che sostengano le attività commerciali», a partire dagli sconti sui canoni d'affitto alle agevolazioni sulla Tari.

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