Hanno rovesciato il latte candido sull’asfalto nero delle strade di Sardegna, come urlo inascoltato nei palazzi di Cagliari, Roma e Bruxelles. Hanno invaso d’inchiostro nero la bianca e inutile carta della burocrazia agricola che da sempre li assedia, peggio delle cavallette nella piana di Ottana e Sedilo. Ogni loro protesta è una litania di commenti, il più delle volte di scherno e condanna, per un’attività, quella agro-pastorale, che non pochi detrattori da tastiera spacciano come assistita e foraggiata da contributi di Stato, europei e regionali. Peccato che il lavoro in agricoltura, peggio ancora nella pastorizia, sia, nonostante l'importanza della produzione agroalimentare, caratterizzato da un dato che dovrebbe far riflettere tutti non poco: il reddito dei lavoratori delle campagne è inferiore di quasi il 40% rispetto ai redditi non agricoli.

Il pastore & la natura

Eppure, loro, gli uomini dell’agricoltura e della pastorizia sono il perno vitale di una catena virtuosa e fondamentale della vita: l’alimentazione. Per non contare quella presenza costante nelle valli e nelle montagne, nelle pianure e nelle colline, a presidiare il territorio, a fare della presenza dell’uomo la più compiuta espressione della natura, nel delicato e imprescindibile equilibrio tra l’essere umano e l’ambiente. In Sardegna, terra frastagliata e isolata come poche, tutto questo coincide con identità, specificità, caratteristiche esclusive dei prodotti alimentari che fanno del paesaggio agro-pastorale dell’Isola un unicum irripetibile, da salvaguardare e valorizzare, proprio per la sua straordinaria esclusività. E, invece, nei Palazzi della burocrazia, tra le mura sorde e mute delle istituzioni, da quelle della capitale d’Italia a quella di Sardegna, non si finisce mai di emarginare le sorti produttive di greggi e mandrie, dalla Barbagia al Campidano, dal Logudoro alla Gallura, passando per la Baronia e il Sulcis. I pascoli, a volte rigogliosi, altre irti di macchia mediterranea, trattata alla stregua di una pestilenza, sono deprezzati come se produrre latte e formaggio, mangimi e alimenti, in terra di Nuraghi fosse un sacrilegio da negare ad ogni costo.

J’accuse

Questa volta, però, i Pastori Sardi, quelli senza sigle e bandiere, il latte lo hanno protetto nei loro ovili, a Roma hanno preferito mandare un j’accuse duro e serrato, un documento tanto tecnico quanto inchiodante, esplicito come pochi. Insieme al referente Fabio Pisu, lo firmano i leader della rivolta di due anni fa, da Gianuario Falchi a Nenneddu Sanna, con loro anche Antonio Doa e Gianluigi Argiolas. La formula è quella della lettera al Ministro delle Politiche Agricole, Stefano Pattuanelli, la sostanza è un atto d’accusa senza precedenti che denuncia il grande scippo alla Sardegna della Politica Agricola Comunitaria, declinata nel PSN, il Piano Strategico Nazionale, ovvero l’attuazione italiana delle disposizioni europee. Piani strategici e, in sintesi, la suddivisione dei finanziamenti da destinare al comparto che adesso, nelle nuove formule di Bruxelles, diventa “eco-schema”.

Il blitz di Roma

Lo scippo si consuma tra Roma e la capitale d’Europa. Da una parte ci sono gli uffici comunitari che tracciano la nuova filosofia agricola che, in fin dei conti, sembra esser scritta traguardando i paesaggi di Sardegna, i suoi pascoli originali e identitari, i prodotti di qualità e protesi verso nicchie commerciali ad alto valore aggiunto, dall’altra parte, però, è il governo di Roma a suddividere il bottino di “casa Italia”. A fare la differenza ci pensano le lobby, quelle trasversali e del nord, di categorie e potentati vari. In un attimo quelle zone e paesaggi rurali da tutelare scompaiono come neve al sole nei programmi statali, arsi dall’ingordigia di chi ha già troppo e vuole sempre di più.

Occhi strabici e miopi

Nel Piano Strategico Nazionale, quello che deve pianificare come spendere in Italia i fondi comunitari, la Sardegna, la sua pastorizia, quella che alimenta la specificità dell’Isola è letteralmente cancellata: esclusione dell’allevamento ovicaprino dall’eco- schema 1. A fine marzo, è il 31 del mese scorso, la Commissione Europea invita l’Italia a rivedere il proprio piano per l'attuazione della riforma della PAC per il periodo 2023-2027.In ballo ci sono una valanga di denari, tutti fondi che la programmazione italiana ha, guarda caso, destinato con occhi strabici e miopi verso le aree più ricche, “dimenticandosi” di quelle più povere.

Il richiamo d’Europa

L’invito degli uffici di Bruxelles si affida alla cortesia del palazzo, ma non rifugge dalla sostanza delle contestazioni: l'Italia deve migliorare la strategia proposta e la descrizione degli interventi garantendo la concentrazione del sostegno verso i territori, i beneficiari e i settori più bisognosi sulla base delle analisi e delle specifiche esigenze territoriali. Il messaggio è chiaro: l'Italia è invitata a rivedere la strategia per garantire una distribuzione più equa e mirata dei pagamenti diretti in quanto la convergenza interna e la redistribuzione sono limitate al minimo richiesto. Una convergenza interna e una redistribuzione più ambiziosa – per l’Europa - avrebbe anche l'effetto di avvantaggiare le zone rurali più bisognose, visto le urgenti esigenze di sviluppo di queste zone d'Italia.

Otto pagine di proposte

Il richiamo europeo non affronta esplicitamente lo scippo alla Sardegna, ma è come se lo facesse. A metterlo nero su bianco con un’analisi puntuale ci pensano loro, i Pastori Sardi, che con otto pagine di valutazioni tecniche, economiche e finanziarie spiegano il grande scippo che lo Stato italiano sta mettendo a segno ai danni del sistema agropastorale della Sardegna. La proposta di spesa del Governo italiano per il prossimo quinquennio di politica agricola, i pastori della rivolta del latte non la analizzano, la smontano. Pezzo per pezzo, punto per punto, con una sintesi estrema: l’esclusione del settore ovicaprino comporterà per la Sardegna una perdita secca, solo su questo fronte, di ben 600 milioni di euro nei prossimi cinque anni.

Discriminazione

Più che un’esclusione è una vera e propria discriminazione settoriale e territoriale: l'eco-schema I a livello 2, infatti, è dedicato «agli allevamenti che si impegnano al rispetto di obblighi specifici nel benessere animale, e che svolgono per l'intero ciclo, o una parte di esso, pascolamento o allevamento brado». Dell’Isola e dei suoi allevamenti – scrivono i pastori al Ministro dell’agricoltura – «non vi è traccia nonostante l'allevamento ovicaprino da sempre in Sardegna (con la presenza di capi stimati in circa 3 milioni, il 50% di quelli allevati in Italia) presenti proprio tali caratteristiche». Tutto questo avviene in una terra «con il maggior numero degli allevamenti del comparto ovicaprino e che lo stesso (secondo quanto previsto attualmente nel PSN) viene escluso dagli interventi di finanziamento previsti all'interno dell’eco-schema comportando una rilevante discriminazione e penalizzazione per tutta la Sardegna e conseguentemente per I'economia sarda». Alla discriminazione settoriale si aggiunge, poi, quella territoriale.

Le lobby del nord

Qui sono le lobby del nord a spadroneggiare negli uffici di Roma. Tecnicamente si definisce attribuzione dei valori dei Titoli agricoli, in pratica sono le somme destinate a compensare le difficoltà produttive e di reddito per ogni singolo ettaro agricolo. Ci sarebbe da aspettarsi una compensazione minore nelle ricche pianure del nord e una maggiore in quelle più povere delle Isole. Nel piano del Governo accade l’esatto contrario. La denuncia dei Pastori Sardi è circostanziata: «In Italia – scrivono - sono ancora presenti titoli con un valore di 2.000 euro ad ettaro che risultano 20 volte superiori a quelli della media regionale sarda. Lo schiaffo è peggio dello scippo: «I titoli da 2.000 euro non potranno essere ridotti più del 30%, mantenendo sempre un valore (al termine della programmazione 2023/2027) di 1.400 euro, mentre i titoli della Regione Sarda non arriveranno a un valore di circa 132 euro (non raggiungendo nemmeno il valore della media nazionale)». Entro il 30 giugno prossimo il governo dovrà proporre le correzioni all’Europa. Se non lo farà - scrivono i pastori – «ci riserviamo di intraprendere ogni tipo di azione a tutela del nostro comparto per preservare la storia e le tradizioni della nostra Terra Sarda». L’hanno scritto con il garbo del Palazzo, ma il significato è esplicito: siamo pronti alla guerra.

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