Quando due Eurofighter Typhoon, i caccia supersonici di quarta generazione dell’aeronautica militare italiana, sono comparsi sugli oblò dell’aereo presidenziale algerino, a otto mila metri di quota sul suolo del Bel Paese, il pilota di Stato africano aveva già avvertito le autorità a bordo: l’Italia onora il Presidente dell’Algeria Abdelmadjid Tebboune con lo schieramento dei suoi caccia intercettori. Roba da onori americani al più potente dei presidenti, nonostante su quel “air force” algerino ci fosse il successore di Abdelaziz Bouteflika, il Presidente dello Stato più potente d’Africa che appena quattro anni fa aveva firmato un decreto con il quale “scippava” alla Sardegna gran parte delle acque internazionali davanti alle sue coste. Un vero e proprio “golpe” in mare aperto sancito da un decreto presidenziale che, in base al diritto internazionale, ha consentito all’Algeria di imporre una “Zona Economica Esclusiva” sino a duecento miglia dalla sponda africana del Mediterraneo. In pratica dalle spiagge di Annaba, con un’estensione di 370 chilometri, le acque internazionali sono diventate acque algerine. Costeggiando la Sardegna, ad una distanza di dodici miglia, dal Pan di Zucchero sino alla foce del Temo a Bosa, al confine con il limite delle acque territoriali, infatti, non c’è più il mare di “tutti”, ma quello in cui vige la sovranità algerina, statuale, militare e soprattutto energetica. In tempi di guerre sanguinarie per conquistare un lembo di terra nel Donbass russo-ucraino, il “furto” del mare sardo, è un gesto da “onorare” con il rombo dei caccia in aria e lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli a terra. La visita di Stato del numero uno algerino, Abdelmadjid Tebboune, è molto di più che una missione di cortesia.

Caccia & zoccoli

Nel silenzio dei codici di Stato ci sono messaggi subliminali, affari e sottomissioni da far rabbrividire. L’incontro del Presidente algerino con il Capo dello Stato Mattarella e il Premier Draghi è una parata senza precedenti. Non bastavano i caccia in volo. L’Italia, quella scippata del mare, prona ed ossequiosa verso il nuovo benefattore di gas e cavi elettrici, ha scelto di costellare l’incedere del Presidente d’Algeri, verso il Colle più alto di Roma, con il ritmato passo d’ordinanza di decine di corazzieri a cavallo, come se ci fosse da onorare un nuovo sultano del Mediterraneo. Tra gli affreschi d’oro e le sontuose sale del Quirinale si consuma il primo atto di uno scippo di Stato sul quale gli sherpa dell’Eni, i veri “grand commis” della Repubblica, hanno imposto il silenzio assoluto. Guai a parlare della “Zona Economica Esclusiva”, quella che il 18 marzo del 2018 gli algerini hanno istituito a due passi dalle coste sarde, roba che se lo avessero fatto in qualsiasi altra parte del mondo si sarebbe scatenata una guerra non solo di carte bollate. Nel Paese dei “balocchi” energetici, invece, il dominus del petrolio e del gas, quel cane a sei zampe da sempre il deus ex machina dell’Italia in Algeria, ha deciso che si deve “obbedir tacendo”, regalando all’Algeria, senza alcuna mestizia e dignità di Stato, una sovranità dei mari di Sardegna. Quella che è andata in scena a Roma, prima nel Palazzo dei Papi, trasformato in residenza del Capo dello Stato e, poi, a Palazzo Chigi, è stata una vera e propria abdicazione silenziosa e complice a quell’operazione di cui nessuno può parlare. Anzi, è il capo del Quirinale a rappresentare i rapporti tra i due Stati come se quella lettera italiana del novembre del 2018 trasmessa all’Onu per contestare l’appropriazione indebita del mare sardo ai confini algerini fosse stata cancellata con un soffio di vento e uno spiffero di gas. Mattarella va molto oltre l’ossequio di Stato al suo omologo d’Algeria: «Il fatto che il Presidente Tebboune sia venuto in Italia a distanza di così pochi mesi - dice solennemente Mattarella – è il segno di un’amicizia solida che vi è tra Algeria e Italia e di questo straordinariamente importante partenariato strategico che intercorre fra i nostri Paesi, con relazioni bilaterali che sono particolarmente forti, si sviluppano costantemente e hanno radici molto antiche». C’è da domandarsi quali possano essere le “forti” relazioni bilaterali se l’Algeria, unilateralmente, senza farne cenno a chicchessia, quattro anni fa ha decretato una “Zona Esclusiva” a mare dove esercitare di tutto e di più, soffiando, o meglio scippando all’Italia e alla Sardegna, un tratto di mare talmente cospicuo da far rabbrividire il mare d’Azov. Se lo domandano gli Ammiragli, gli uomini di mare, coloro che conoscono il diritto internazionale e comprendono, senza bisogno di frequentare l’Accademia della diplomazia, che senza l’adozione di un atto uguale e contrario a quel decreto algerino, significa che l’Italia ha deciso di abdicare, ovvero cedere le armi e consegnare mare, pesci, petrolio e sovranità davanti a casa propria, alla Repubblica Popolare Democratica d’Algeria. Uno Stato, quello italiano, piegato a tal punto che i Presidenti del Consiglio e della Repubblica, da un anno, evitano accuratamente di dar corso ad una chiara indicazione parlamentare che, seppur tardivamente, ha chiesto con una legge di istituire un’analoga “Zona Economica Esclusiva” su quelle acque “scippate” dall’Algeria. La norma divenuta legge nel giugno scorso prevede, infatti, che il premier proponga al Capo dello Stato un decreto di istituzione e delimitazione dell’area a mare sotto giurisdizione italiana.

Chi paga, chi incassa

Ad oggi, invece, ossequioso e deferente silenzio assoluto. Un motivo, però, c’è: l’Eni ha imposto al Governo la linea della sudditanza energetica, prima verso Mosca e adesso verso il nord Africa. E del resto attuare quella norma significherebbe dire all’Algeria che l’Italia intende esercitare il proprio ruolo di Stato sovrano. Quello che sarebbe stato un atto dovuto, ovvero opporsi in ogni modo allo scippo del mare sardo, diventa, invece, un vero e proprio tabù di Stato. L’Eni, del resto, continua a fare affari a mani basse in Algeria e può benissimo fare a meno di farsi carico della dignità e sovranità di Stato. Insieme a Sonatrach, la società energetica a partecipazione pubblica, l’Eni, infatti, continua a mietere appalti e concessioni, comprese le esplorazioni e prospezioni geofisiche proprio in quelle aree offshore di cui il governo d’Algeri si è appropriato senza colpo ferire già quattro anni fa.

Carrozza di Stato

E non è un caso che sia proprio l’Eni a scarrozzare in lungo e in largo per il nord Africa i vertici dello Stato. Li porta dove vuole, gli fa sottoscrivere gli stessi accordi, con i medesimi contenuti, anche due o tre volte, giusto per ribadire che chi decide è l’Eni e non i Capi di Stato. Ora che sullo scenario internazionale tutti chiedono una nuova linea di approvvigionamento di gas con il Maghreb, un metanodotto come il Galsi, tra l’Algeria, la Sardegna e l’Europa, l’Eni si prodiga non solo per non parlarne, ma per impedirlo in ogni modo. Tanto i governi del Bel Paese fanno quello che l’Eni ordina. Il nuovo diversivo è ora un cavo-guinzaglio. Questa volta il collegamento elettrico si vorrebbe realizzare dall’Algeria verso la Sardegna per portare nell’Isola dei Giganti l’energia elettrica nientemeno che dall’Africa. Per l’Isola, costretta ad abbandonare ogni velleità di indipendenza energetica, non resta che la sudditanza, prima con il progettato cavo con la Sicilia e ora persino uno con l’Algeria. La sintesi del vertice di Roma è semplice: la Sardegna sarà costretta a subire l’ennesimo cavo-guinzaglio, non avrà nessun metanodotto, magari proiettato verso l’idrogeno, e avrà perso definitivamente il mare davanti alle sue coste. Battono forte sui san pietrini di Roma gli zoccoli della sudditanza di Stato. La Sardegna paga, l’Eni guadagna.

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