Lo hanno proprio scritto, apertis verbis, nella sentenza di primo grado: il decreto del governo Draghi va nella direzione della riconversione a gas delle attuali centrali a carbone. Sono talmente convinti di quello che affermano che arrivano a chiosare: non ha senso che la Regione si lamenti visto che tale scelta «risponde alle note esigenze di abbattimento dell’uso di fonti fossili nella produzione di energia».

Fuoco incrociato

Quella del Tar Lazio più che una sentenza è un fuoco incrociato, tutto proteso a smontare le tesi della Regione sarda ed avvallare, senza remore, il decreto del governo Draghi che commissaria senza scrupoli l’Isola del sole e del vento. Non solo i giudici hanno ignorato la funzionale e scontata correlazione tra “gas” e “produzione di energia elettrica”, pur di far venir meno la primaria competenza statutaria della Regione, ma hanno fondato il “teorema di Stato” su presupposti destituiti di ogni fondamento. Basta, per esempio, riscontrare l’affermazione con la quale sostengono che il gas spedito in Sardegna, attraverso “bettoline acquatiche”, sarebbe servito per alimentare centrali termoelettriche.

Riconversione farsa

Non centrali ex novo ma, scrivono i Giudici, centrali da “riconvertire”, da carbone a gas. Il riferimento è a quelle di Portovesme e Porto Torres, la prima di Enel, la seconda di Ep, multinazionale di Praga. Le affermazioni dei giudici di primo grado sul tema sono sconfinate. Per avvallare la tesi governativa arrivano persino a sostenere che il tema occupazionale, che pure la Regione aveva sollevato, è fuori luogo: «Non è, invero, che le esigenze occupazionali siano per forza recessive rispetto a quelle ambientali, ma il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri non è la sedes materiae in cui, contestualmente alla decarbonizzazione di dette due centrali si debba fin da subito fornire una precisa risposta al tema occupazionale».

Operai? Un’altra volta

Come dire: non è questa la sede per parlare di lavoratori. Il Tar Lazio, però, non si sottrae al tema e aggiunge: «Poiché è da tempo nota la differenza strutturale in termini di manodopera delle due configurazioni d’impianto, l’una (a carbone) pari a centinaia di addetti, l’altra ( a Gnl) pari solo a qualche decina, onde è pure compito primario della Regione, nelle sedi più acconce e d’accordo con lo Stato, trovare soluzioni graduali a tal problema». Non solo i giudici di Roma scaricano i lavoratori dell’Enel, società a partecipazione statale, alla responsabilità della Regione, ma continuano, incuranti della realtà e degli atti, a parlare di una riconversione delle centrali che non esiste. Non un elemento di poco conto, ma dirimente e decisivo su più fronti, quello sostanziale, di quel gas trasformato in energia ne usufruirebbe l’intero territorio regionale, e costituzionale, visto che si tratterebbe, se fosse valido il ragionamento dei Giudici sulle competenze in senso stretto, di produzione elettrica direttamente connessa all’art.4 dello Statuto Sardo.

Enel smentisce i Giudici

Peccato, però, che i magistrati amministrativi di Roma non si siano informati sui fatti, non quelli fantasticati nelle memorie di Stato, ma contenuti negli atti ufficiali. Se, per esempio, avessero preso atto delle dichiarazioni formali di Enel, pubblicate nella procedura per l’autorizzazione del rigassificatore di Portovesme, si sarebbero accorti che la società elettrica ha escluso categoricamente di voler riconvertire quella centrale. Lo ha talmente scritto a caratteri cubitali che ha persino smontato il business plan, i cosiddetti costi benefici di quel “mostro” di rigassificatore piazzato nel bel mezzo del centro abitato di Portovesme, visto che il Porto industriale è praticamente attaccato a Portoscuso.

Stop elettricità

L’affermazione è stata perentoria: «Enel Produzione S.p.A. non ha presentato progetti di riconversione della centrale a carbone di Sulcis in una centrale a gas, si ritiene che le considerazioni esposte nelle integrazioni al progetto “Terminale di Portovesme ed opere connesse” dalla Società SNAM Rete Gas S.p.A. in merito alle sinergie attuabili con il funzionamento della centrale Enel di Sulcis non siano coerenti né con il fine vita della stessa - previsto da Decreto AIA al 31/12/2025».

Presupposti infondati

Basterebbe questo ai Giudici di appello per comprendere quanto la sentenza del Tar Lazio muove da presupposti infondati. Non è tutto, però. Ad avvallare la tesi coloniale di Stato, pur di tagliar fuori la Regione da qualsiasi possibile intervento sul merito del decreto, i Giudici del Tar Lazio usano persino il mare come clava per radere al suolo ogni possibile voce in capitolo di viale Trento.

L’arma del mare

Lo scrivono con l’imperio del dogma inviolabile: «Per quanto riguarda le determinazioni sugli idrocarburi a mare la previa intesa tra lo Stato e le Regioni non è in alcun modo richiesta. In virtù di tal disposizione, lo Stato ha competenza esclusiva per quanto concerne l’uso del mare, di zone del mare territoriale e del pubblico demanio marittimo per finalità di approvvigionamento di fonti di energia. Nessuna concertazione tra Stato e Regioni è richiesta». Secondo questa tesi, dunque, per i giudici non esiste il tema della concertazione istituzionale. Lo Stato, dunque, potrebbe tranquillamente decidere di piazzare nel porto di Cagliari una centrale nucleare o decidere nelle aree demaniali del porto canale di realizzare un deposito di scorie radioattive. I sardi e la Regione, secondo la lettura da vecchio impero romano che propongono i togati del Tar Lazio, non avrebbero alcuna voce in capitolo. Peccato che dimentichino l’impatto ambientale, ignorino, per esempio, il fatto che a Portovesme, come nel Sulcis circostante, ci sia una mortalità superiore al 50% della media regionale per quanto riguarda le malattie respiratorie. Peccato che ignorino, per esempio, la competenza sul paesaggio, sino a prova contraria di materia esclusiva della Regione, oppure le infrastrutture a terra. Se fosse plausibile il ragionamento sulle competenze in senso stretto proposto dai Giudici del Tar Lazio il gas la Snam dal mare dovrebbe lanciarlo per aria, visto che le infrastrutture, in terra ferma sarebbero di competenza “terrestre” e quindi del Comune e della Regione, competenze non commissariabili perché ricadenti in una stretta competenza sul «governo del territorio» costituzionalmente assegnata alla Regione.

Da vittima a carnefice

C’è di peggio, però, nella sentenza del Tar Lazio. I giudici amministrativi, nel prodigarsi per esaltare le doti “altruiste” del governo di Roma, arrivano persino a tacciare la Sardegna di “egoismi” che minerebbero addirittura l’unità della Repubblica. In pratica, tentano, senza mai riuscirci, di trasformare la Sardegna da vittima delle politiche di Stato a carnefice dell’Unità nazionale. Sembrerebbe surreale anche solo pensarlo ma è scritto nella sentenza del Tribunale di Roma: «Lo Stato, specie in caso di doverosa perequazione tra i vari (e diversi) territori della Repubblica, è così chiamato ad assumere, mercè forme di maggiore flessibilità nella distribuzione tra le competenze legislative ex art.117 Costituzione, una responsabilità perequativa che superi eventuali egoismi e incomprensioni regionali sul valore pratico dell’unità e indivisibilità della Repubblica». Ci sarebbe da domandare di quale “perequazione” parlano i giudici, visto che la Sardegna è l’unica regione d’Italia e d’Europa che ha un ritardo di almeno 50 anni sull’approvvigionamento energetico a metano. Quale sarebbe l’egoismo secondo i togati di Roma? Per esempio, quello di aver previsto in un decreto di Stato che la Snam porti il Gnl a bocca di porto e poi i sardi si arrangino, con la clausola dei costi-benefici?

Paringianu & Cagliari

L’ennesimo schiaffo alla Sardegna, dopo quello inflitto dal governo Draghi, i Giudici lo assestano quando sostengono, senza conoscere niente dell’Isola, che il decreto di Palazzo Chigi «non sembra precludere a priori la possibilità di alimentare le reti di distribuzione non ancora collegate ai previsti tratti di rete con soluzioni alternative (carri bombolai n.d.r)». In buona sostanza sono convinti che Cagliari sia attaccata a Paringianu, frazione di Portoscuso, visto che la dorsale di collegamento tra il Sulcis e la capitale dell’Isola è messa in discussione da una valutazione di costi-benefici.

Per i sardi, costi-benefici

Una scelta “meritoria”, secondo i Giudici, quella compiuta dal Mite, il ministero morto e sepolto che fu di Cingolani, «che ha inteso seguire criteri d’efficienza per la definizione della soluzione ottimale, in base ad un’analisi di costi-benefici». Altro che perequazione, i Giudici, violando la norma costituzionale di riequilibrio insulare, hanno avvallato la cancellazione del principio di equità e coesione. Per tutta Italia, infrastrutture energetiche in ogni piccolo paesino, sino all’ultimo cittadino. Prezzo uguale per tutti. In Sardegna No, secondo il governo che fu e i Giudici del Tar, i sardi dovrebbero pagarsi 50 anni di ritardi e, dopo aver pagato le condotte del Continente, farsi carico, da soli, dei costi delle mini-dorsali e dei carri bombolai. Alla faccia degli «egoismi» enunciati dai Giudici di Roma.

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