L’eco delle tensioni internazionali ha raggiunto anche la sala “Giorgio Pisano” de L’Unione Sarda, dove ieri si è svolto il convegno, inserito all’interno di un protocollo d’intesa tra il gruppo L’Unione Sarda e l’Università di Cagliari e moderato dal caporedattore Giuseppe Deiana, per fare il punto su uno degli snodi più critici dell’economia globale: i dazi doganali imposti dagli Stati Uniti e le loro ricadute, con un focus sui riflessi per le imprese sarde. L’imminente stretta protezionistica annunciata dal presidente Donald Trump, con l’intenzione di portare i dazi sulle merci Ue fino al 50% a partire da luglio, accende nuove incertezze su un terreno già scivoloso.

I dazi, ha spiegato Andrea Poddighe, professore di Diritto Tributario all’Università di Cagliari, «sono tributi applicati sulle merci in ingresso nell’Unione Europea, con finalità che spaziano dalla protezione dei mercati interni alla leva diplomatica. Sono calcolati sul valore o sul peso dei beni e stabiliti a livello comunitario nell’ambito della cosiddetta “unione doganale”». Strumento antico, ma ancora molto influente nella diplomazia economica moderna.

Ma non di soli dazi vive la dogana. Come ha sottolineato Michele Ippolito, commercialista e cultore della materia, «i diritti doganali comprendono anche Iva, accise, diritti di ancoraggio e magazzino. Alcuni dazi sono di natura “antidumping”, e servono per contrastare pratiche sleali, come l’importazione fraudolenta di beni cinesi tramite paesi terzi».

In altre parole, si rischia di giocare su un campo dove regole e scappatoie si rincorrono senza sosta, dove a rendere il quadro ancora più complesso è proprio la prospettiva americana.

Il presidente del Consorzio del Pecorino Romano, Gianni Maoddi, ha delineato un contesto delicato: «Oggi il nostro formaggio entra negli Stati Uniti con un dazio del 10% che pesa enormemente. Un container da 300 mila euro implica un versamento doganale immediato di 30 mila euro». Nonostante questo però, l’interesse resta alto: «Nel primo trimestre 2025, le vendite sono cresciute del 14,8% rispetto all’anno precedente». Ma all’orizzonte si profilano nubi scure: «I buyer statunitensi sono cauti e temono di acquistare a condizioni che tra poche settimane potrebbero diventare insostenibili».

Davanti a questo scenario anche il mondo del vino sardo è in allerta. Mattia Piludu, direttore generale di Siddura, spiega: «Il nostro posizionamento su una fascia medio-alta ci aiuta a reggere l’urto, ma il problema è il clima di incertezza: se i dazi diventeranno una realtà più pesante, i costi verranno inevitabilmente ribaltati sui produttori, a meno di un intervento deciso delle istituzioni».

Sul fronte dell’olio, Pasquale Manca (San Giuliano) sottolinea l’importanza delle produzioni di nicchia, che «il momento è molto critico, ma al momento le richieste non mancano e stiamo compensando tra i due lati dell’Oceano riducendo i margini parzialmente, facendo un sacrificio che pesa, ma peserebbe di più uscire dal mercato dopo tanti anni».

Durante il convegno, Luca Tronci, ricercatore in Diritto Commerciale, ha poi offerto una chiara lettura tecnica: «I dazi non figurano tra le imposte nel conto economico, ma aumentano il costo d’acquisto dei beni importati. Questo riduce il Margine Operativo Lordo (Mol), un indicatore chiave per valutare la redditività aziendale. Una minore redditività può significare minore fiducia da parte del mercato e degli istituti di credito».

Una spirale pericolosa, in cui l’impresa si trova a dover decidere se assorbire i costi, peggiorando i propri conti, oppure riversarli sul cliente, alimentando l’inflazione. Il tutto in un contesto di crescente obbligatorietà in tema di rendicontazione sostenibile, «dove le imprese devono ormai misurare e raccontare il proprio impatto ambientale», aggiunge Tronci.

Intanto lo scorso 4 ottobre è entrato in vigore un nuovo decreto legislativo, che ha riscritto la normativa doganale italiana allineandola al Codice Doganale dell’Unione (CDU).

«Le nuove regole introducono – ha evidenziato Ippolito - sanzioni amministrative meno onerose rispetto al passato, ma più articolate. Restano i reati di contrabbando, omessa o infedele dichiarazione, con soglie ben precise: basta un’errata dichiarazione doganale su un valore superiore a 10 mila euro per entrare nel penale».

Attenzione, dunque, anche ai dettagli: «Oggi, la compliance doganale è una necessità strategica», avverte Poddighe. Non solo per evitare sanzioni, ma anche per gestire le trattative internazionali in corso. 

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