Chi salva un seme di grano salva una cultura. Spesso povera, sempre sapiente, formatasi nel corso dei millenni grazie all'intelligenza e alla fatica dell'uomo e degli animali che lo aiutavano. La nostra cultura. Parola di Angelo Morittu, 63 anni, agronomo di Bonorva.

Il primo in Sardegna a far inserire - era il marzo 2017 - un grano tipico regionale nel Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione. Ovvero da salvare, da proteggere (Morittu ne è diventato ufficialmente il custode) e possibilmente da valorizzare. Rilanciandone la produzione, che nelle etichette del pane e dei biscotti che verranno sarà per sempre legata al luogo di origine. Si tratta del Trigu Biancu Bonorvesu, una varietà di frumento duro tradizionale, che veniva coltivato nelle piane del Logudoro sino agli Sessanta e poi è stato scalzato dalla Rivoluzione verde, dai semi prodotti in laboratorio (talvolta per irradiazione nucleare) dalle spighe più basse, più cariche, più redditizie. "Immagino una filiera del pane zichi, il pane tipico di Bonorva, che sia tutta sarda", dice l'agronomo. "Ma non sono né un agricoltore né un panificatore. Il mio obiettivo non è economico. Quelle che voglio salvare sono la biodiversità e la cultura contadina tradizionale."

UNA LUNGA STORIA - Per professione Angelo Morittu si occupa di assistenza tecnica agli allevatori. I cereali però fanno parte della sua eredità genetica: i genitori erano agricoltori, coltivano la terra nella Piana di Santa Lucia.

La laurea in Agraria garantisce a lui, come a tanti coetanei, che non si dovrà spaccare la schiena in campagna. Il destino, però, lo rincorre. "Tutto è cominciato nel 1996", spiega. "Facevo parte della Pro Loco, che organizzava la sagra del pane zichi, il pane tradizionale del paese". Morbido o indurito, fatto rigorosamente con sa madriche (il lievito madre, tramandato di generazione in generazione) e su frementarzu: una piccola porzione di impasto che si conserva e funge da starter nella panificazione successiva. "La sera prima della panificazione su frementarzu, che nel frattempo si è indurito, viene sciolto in un po' di acqua tiepida alla quale si aggiunge un po' di farina". Il rito ha i suoi passi codificati. E tempi lunghi: "È necessaria tutta una notte per ottenere (in inverno) un impasto lievitato, il lievito madre /sa madriche. È questa che viene utilizzata per operare la lievitazione nella panificazione tradizionale.

"Sembrerà strano, ma per quanto fosse diffusissimo, non c'erano studi scientifici sul lievito madre". Morittu chiede soccorso a un suo ex docente, il professor Antonio Farris, illustre microbiologo dell'Università di Sassari, che ne fa esaminare alcuni campioni di frementarzu. Raccolti nelle case degli anziani bonorvesi, quelli che ancora non si sono arresi alle michette fatte con il grano standardizzato delle multinazionali sementiere, buono per la Sardegna come per l'Alaska, purché sia rafforzato con concimi, diserbanti e varie diavolerie chimiche. Sorpresa: "Il lievito madre conteneva una gran varietà di micro organismi, lieviti e batteri, molto vitali". A che servono? Semplificando molto, rendono il pane più saporito e digeribile. "L'impasto è composto di macromolecole. Diciamo che questo tipo di lieviti operano una sorta di predigestione, rendendo le molecole più semplici". Così, per esempio, la mollica (ma anche la pasta della pizza) non ci resta sullo stomaco.

Una spiga di Trigu Biancu Bonorvesu sopra un pane zichi, il pane tradizionale di Bonorva (Foto Francesco Morittu)
Una spiga di Trigu Biancu Bonorvesu sopra un pane zichi, il pane tradizionale di Bonorva (Foto Francesco Morittu)
Una spiga di Trigu Biancu Bonorvesu sopra un pane zichi, il pane tradizionale di Bonorva (Foto Francesco Morittu)

LA VIA DEL GRANO - Fulminato sulla via del grano, curioso per natura, Morittu tempesta di domande la madre e i suoi vicini: "Nella strada dove abita, tutti gli anziani sono stati contadini". E amano ricordare il passato a chi sa ascoltare. "Parlavano con gli occhi lucidi, descrivavano le fatiche, le annate buone e quelle grame. C'è un legame forte tra loro, la terra, i cereali", dice l'agronomo. "Viene fuori che, ai margini dei campi di grano duro più produttivo e commerciabile, c'erano dei piccoli appezzamenti dove veniva coltivato il Trigu biancu, una varietà troppo leggera per essere redditizia. Le massaie lo facevano macinare ai mulini pubblici, serviva per il pane di casa". Peccato che, alle soglie del Ventunesimo secolo, sia praticamente sparito.

Angelo Morittu però non è un tipo che si dà per vinto. Affascinato dai racconti dei vecchi agricoltori, cerca informazioni a destra e a manca. "Ho sparso la voce anche fra gli allevatori che incontravo per lavoro". È proprio uno di loro che un giorno gli porta la bella notizia: "Ho visto le spighe di trigu biancu". A casa di un meccanico. "Non era del mestiere, ma ne apprezzava la bellezza. E le esponeva in vaso, per decorare la casa". L'agronomo riceve in dono un pugnetto di spighe, ne libera i semi, li pianta nell'orto dei suoi genitori. Germinano. Al momento della raccolta, vecchi contadini confermano: "Quello che hanno davanti agli occhi è proprio il grano che avevano coltivato loro, i loro genitori e i loro nonni". Il Trigu biancu è tornato. Anno dopo anno, i semi vengono inghiottiti dal grembo della terra e producono nuove spighe. "Ma io non sapevo che farne. Non ho campagne, non sono un produttore. Voglio solo tenere in vita il grano della tradizione". È un collega e amico agronomo a suggerirgli di proporre il grano tanto amato al Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione.

LA RICERCA - Qui incomincia una nuova ricerca. Oltre alla memoria degli agricoltori, Morittu esplora pile di documenti scientifici (compreso il lavoro dei colleghi che l'hanno preceduto) e di scritti più o meno dotti a carattere storico. Bisogna dimostrare che il grano di cui si tratta è una varietà ben identificabile (diversa, per esempio, da quelle che si trovano in Campidano), tradizionalmente coltivata in un territorio definito, del quale ha contribuito a determinare il paesaggio caratteristico e che ha caratteristiche biologiche e nutrizionali che ne rendono essenziale la sopravvivenza.

Il processo di iscrizione al Registro varietale è appoggiato dalla Camera di Commercio del Nord Sardegna, dalla Lega delle cooperative del Nord Sardegna e dal Comitato territoriale di Sassari La domanda, presentata nel 2015 viene accolta dal Ministero delle Politiche Agricole nel marzo 2017, dopo alcune richieste di precisazione. Su Trigu Biancu Bonorvesu, è il primo grano della tradizione sarda a entrare nel Gotha delle varietà preziose. "Se non avessi fatto le mie indagini, spinto anche dalla curiosità, se non avessi fatto ricerche presso gli anziani contadini, questa varietà sarebbe andata perduta, insieme a un'antica e preziosa cultura contadina", dice Angelo Morittu. "Ora, evitata l'erosione genetica, la comunità di Bonorva potrà, con il dovuto sostegno, utilizzare questa antica varietà. E ricostruire la filiera che, partendo dal Trigu biancu, da coltivare in biologico , con l'utilizzo del lievito madre autoctono e della cottura in forno a legna, produca il nostro pane tradizionale bonorvese, lo zichi". Così sarà garantita la trasmissione dei saperi alle generazioni future.

L'agronomo di Bonorva Angelo Morittu, 63 anni, con in braccio un fascio di spighe di Trigu Biancu Bonorvese durante la mietitura (Archivio Morittu)
L'agronomo di Bonorva Angelo Morittu, 63 anni, con in braccio un fascio di spighe di Trigu Biancu Bonorvese durante la mietitura (Archivio Morittu)
L'agronomo di Bonorva Angelo Morittu, 63 anni, con in braccio un fascio di spighe di Trigu Biancu Bonorvese durante la mietitura (Archivio Morittu)

GALLURA E MARMILLA - L'agronomo di Bonorva è stato il primo, ma non è l'unico a rivendicare i crismi dell'ufficialità per le varietà tradizionali del grano di Sardegna, che nell'ultimo decennio hanno attirato l'attenzione di un nuovo tipo di agricoltori: militanti della biodiversità, paladini della salute, nemici dell'omologazione imposta dalle multinazionali.

Anche Marianna Virdis, 31 anni, un'architetta che guida un'azienda agricola ecosostenibile ("Sa laurera" ) a Villanovaforru, ha chiesto e ottenuto di recente l'iscrizione di tre varietà al Registro nazionale delle specie agrarie da conservazione. Sono il frumento tenero Denti de Cani, coltivato nei secoli dai poveri di Marmilla, il Trigu Moru delle alte spighe nero-bluastre (diffuso un tempo dalla Marmilla al Sulcis) e il Tricu Cossu, il frumento tenero tipico della Gallura.

Come l'agronomo bonorvese, anche Marianna Virdis è divenuta ufficialmente "custode" delle varietà da preservare. "Un titolo - precisa - che costituisce una responsabilità, ma non è un brevetto". I semi tradizionali sono beni comuni, chiunque li può coltivare per produrre grano, sfarinati, pane, grissini, pasta. Ma solo gli agricoltori dell'areale di provenienza potranno esibire il titolo in etichetta. "L'iscrizione al Registro è una garanzia verso il mercato", spiega Virdis. Rende giustizia a generazioni di contadini che hanno selezionato e coltivato quella varietà in una specifica area della Sardegna. E può rilanciare l'economia di quel territorio".

Nella sua azienda Marianna Virdis intende sviluppare una filiera del Denti de cani, grano tenero tipico della Marmilla e dell'antico Monreale, ma testimoniato anche a Carloforte. Il Tricu Cossu invece sarà di pertinenza dei compagni di strada di "Gallura biodiversa", un'agguerrita associazione che raccoglie produttori, molitori e panettieri di Arzachena e dintorni.
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