Un milione di fatturato nel 2022 e un metodo personalizzato per aiutare imprese e professionisti. È la storia di Elena Setzu, cagliaritana classe 1987, che oggi è a capo dell’agenzia Diamond Coaching, attiva nel settore della consulenza High ticket, che crea per le aziende metodi per utilizzare le proprie risorse e posizionarsi meglio sul mercato.

Dopo gli studi all’Ied di Cagliari, come tanti giovani ha cominciato a cercare lavoro nel mondo del marketing, curricula a destra e manca, ma le porte chiuse in faccia sono state tante: «Mi sono presentata in una tipografia vicino al mio paese, Villacidro, ero disposta anche a fare le pulizie pur di stare in quell’ambiente, ma non c’è stato verso di entrare, non mi hanno preso».

E allora, a 23 anni, la partenza per Milano: «Ero quasi obbligata se volevo raggiungere i miei obiettivi, non vengo da una famiglia ricca e non intendevo gravare oltre su di loro. Quindi ho aperto una partita Iva anche se tutti me lo sconsigliavano: “è terribile, ti mangeranno viva”. In tasca avevo 1.800 euro ricevuti come risarcimento per un incidente, li ho usati per prendere in affitto un monolocale da sfruttare come casa e ufficio e per pagare i biglietti della nave».

Come sono stati gli inizi?

«Dopo essere stata freelance ho aperto un’agenzia con un gruppo di persone, abbiamo lavorato per tanti anni e anche con ottimi risultati, abbiamo aiutato numerose aziende sarde – ho perso il conto dopo le prime 120 -, e molti imprenditori creando dei servizi per loro. Quando in tanti hanno cominciato a parlare bene di noi i clienti sono arrivati sempre più: abbiamo dovuto abbandonare il concetto di agenzia e ci siamo mossi sulle consulenze».

Cosa fate oggi?

«Spieghiamo alle imprese o anche ai liberi professionisti tutto quello che possono fare, dalla A alla Z, per cominciare a vendere online – in via esclusiva o meno – e come posizionarsi al meglio sul mercato, creando dei percorsi personalizzati».

In cosa consiste la consulenza High ticket?

«Nel momento in cui si ha la responsabilità di prendere in mano il budget di un’azienda che deve diventare poi la fonte di sostentamento, non si possono fare “scivoloni” o pensare a risparmiare, o avere dei software che non si conoscono. E nemmeno sottopagare i collaboratori: i nostri sono tutti retribuiti a livelli alti, questo è l’High ticket. Facciamo una selezione all’ingresso: hai un progetto serio? Hai un approccio mentale serio? Sono i requisiti della consulenza pagata a livelli alti».

Perché poi ha deciso di tornare in Sardegna?

«A mio avviso i mesi che ho trascorso a Milano, 6 o 7, sono stati come passare tre anni in Sardegna. Quando ti svegli al mattino e sai che stai finendo i soldi e nessuno ti potrà aiutare, inizi a fare di tutto. Così ho cominciato a fare marketing su Facebook, era il 2011, a studiare come realizzare siti web e a venderli a basso costo per fare la gavetta. E grazie ai social le persone mi hanno ricontattato. Vivevo a Milano ma la gran parte dei miei clienti era in Sardegna».

Quella terra che non aveva saputo apprezzarla, una rivincita?

«All’epoca mi è sembrato fosse un po’ così, oggi devo dire che – anche se la parola rivincita non mi piace molto – lo è da molti punti di vista».

Elena Setzu è cresciuta a Villacidro (foto ufficio stampa)
Elena Setzu è cresciuta a Villacidro (foto ufficio stampa)
Elena Setzu è cresciuta a Villacidro (foto ufficio stampa)

È vero che ha creato un suo metodo?

«In questi anni di esperienza, lavorando per centinaia di aziende, ho riscontrato dei “pattern”, cose che funzionavano sempre e altre mai. Ho quindi fissato un metodo di presenza online per tutte le imprese che si sono rivolte a me. Prima lo abbiamo attuato noi, ora lo insegniamo in modo che siano indipendenti».

Quindi come creare un sito ad esempio?

«Non solo, a volte serve un cambiamento radicale: spesso succede che ci siano risorse che non vengono valorizzate. Magari c’è un tirocinante mandato dalla Regione che trascorre il suo tempo a mettere post su Facebook senza essere stato preparato per farlo. Oppure una segretaria che ha avuto una riduzione di ore perché il lavoro è diminuito: la si può riportare a un full time compilando i report delle attività. Insomma recuperare le risorse interne per andare verso una direzione nuova con nuove fonti di introiti».

Dopo la pandemia, ora che tutto è stato riaperto, il trend della vendita online è diminuito?

«Al contrario, sta aumentando perché le abitudini sono ormai cambiate e non tornano a come erano prima. Amazon di recente ha creato una squadra di coach che formano gli imprenditori che vendono sulla piattaforma al fine di incrementare le vendite, e i negozianti sono sempre di più. Con il problema del caro carburanti e dei costi delle materie prime tante attività fisiche stanno chiudendo e non tutte si reinventano su internet. Sono moltissimi gli imprenditori che vanno a cercare lavoro come dipendenti, ma è chiaro che, ad esempio, non si può insegnare online come fare la pizza».

Alzare i prezzi, secondo il suo punto di vista, è più che mai vitale, ma molti consumatori non sarebbero d’accordo.

«La questione va vista sotto un altro punto di vista: il risultato è che si alza il valore. Se tre anni fa ci si poteva rivolgere a me per avere a 3mila euro un sito internet e degli account social curati, oggi si ha accesso a un percorso di consulenze in cui il valore che il cliente finale porta a casa è qualcosa di estremamente superiore».

Come ci si posiziona correttamente sul mercato?

«Differenziarsi e rendersi unici sono il modo migliore. Non solo: nell’ambito della nutrizione ci sono tante persone che offrono la loro opera, magari sono state licenziate dalle palestre. Oggi vendono programmi di coaching da 4mila a 20mila euro al mese, non fanno più i personal trainer ma seguono i clienti da mattina a sera, si dedicano a loro completamente in ogni momento della giornata. Ecco il cambio di prospettiva: non si tratta più di impazzire cercando 100 clienti a un euro l’uno ma 10 clienti che pagano molto di più».

Quanti collaboratori ha nella Diamond Coaching?

«26 in tutto il mondo, diversi sono italiani, altri stranieri».

Perché questo nome?

«Da sempre una delle mie caratteristiche visive – quelle che appunto ritengo molto importanti per distinguersi – è quella di mettere il simbolo di un diamante alla fine di email o messaggi, accanto alla firma. Un richiamo al fatto che anche io sono un po’ come una emoji, semplice e genuina. Non ho la valigetta e lo sguardo antipatico, entro in azienda e ci metto tutta me stessa. Costo tantissimo ed è per pochi».

Quest’anima propensa al marketing l’ha ereditata da qualcuno in famiglia?

«Mio padre aveva iniziato a vedere fiori nei mercatini, quando è morto avevo un anno e mezzo, e mia madre ha continuato l’attività. Lei ora non capisce alla perfezione quello che faccio, il fatto che mi rivolga a persone di tutto il mondo. Ieri ad esempio abbiamo acquisito un cliente in Australia. Non riesco a spiegarle esattamente quale sia il mio lavoro, però rispetto la mia missione iniziale: quella di migliorare positivamente la sua vita, e in cuor mio so che lo sto facendo».

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