Dalla Via della Seta a quella dei Trasvolatori, sulle sponde dello Stagno di Santa Gilla, nell’enclave aereo del Golfo degli Angeli, il passo è breve. Quella che stiamo per raccontarvi è la storia silenziosa di un filo rosso invisibile e di un appalto tanto sconosciuto quanto controverso. E’ lo sbarco, tra le piste dei jet e dei boeing, della lunga mano economica, e non solo, del Partito Comunista cinese che irrompe a pieno titolo nel cuore della cyber security dell’aeroporto di Cagliari. Il viaggio è lungo, ma l’approdo è documentato. Nei giorni scorsi, tra la vigilia di Natale e Capodanno, l’operazione tutta cinese è andata segretamente in porto, con tanto di fretta e urgenza. I nuovi apparati “radioattivi” cinesi per frugare tra le valigie in partenza hanno conquistato il sottopiano dello scalo cagliaritano. Un blitz in piena regola, scattato dopo l’inchiesta dell’Unione Sarda sulla sicurezza e mille peripezie di un appalto che dopo due anni non era mai andato in porto. Del resto dietro quel marchio cinese c’è molto di più di una fabbrica di scanner dislocata come cavallo di Troia nella Polonia dell’est. Sono i nomi e i cognomi ad accendere la spia rossa sul caso security dell’aeroporto sardo. Un affare di Stato e molto di più.

Il principino di Pechino

Il cognome è Hu, il nome Haifeng. Nella sua terra natale è “il principino”, appellativo riservato solo ai primogeniti delle più alte cariche dell’impenetrabile regime comunista cinese. Classe 1972, informatico di professione, nientemeno che figlio di Hu Jintao, l’ex segretario generale del Partito Comunista e Presidente della Repubblica popolare cinese. Di lui dicono di tutto e di più, da “principe di teflon”, per la sua caratteristica di rendersi invisibile, ad astro nascente pronto a scalare le vette del Congresso nazionale del Popolo per succedere direttamente al leader massimo Xi Jinping. Eppure, questo cinquantenne in carriera, già entrato a pieno titolo nei vertici del Partito-Stato, non si è sempre dedicato alla politica in senso stretto, anzi. Per scoprire la sua vera storia è inutile rivolgersi alle fonti informative cinesi, la risposta è sempre la stessa: «Seguendo le leggi vigenti certe informazioni non potranno essere mostrate». Del resto la sua scalata è tutta legata alla nuova “Era digitale” messa nero su bianco dal regime cinese: diventare la prima superpotenza totalitaria al mondo basata sulla tecnologia. Non è un caso, infatti, che Hu Haifeng (nella foto) sia stato di fatto l’ispiratore, nonché presidente di Nuctech, un colosso cinese con gli occhi digitali puntati su tutto quello che si muove nel mondo, dagli aeroporti ai porti, dai vagoni ferroviari agli scali industriali. Una sorta di “grande fratello” mondiale gestito direttamente da Pechino, con tecnologie che sfuggono al controllo di chiunque, compresi gli Stati che si approvvigionano dall’industria cinese. E’ sotto la sua guida che Nuctech pianifica lo sbarco europeo nel cuore della terra di Karol Wojtyla, in quella Varsavia, dove la lezione di Solidarnosc non sembra aver fatto breccia nell’etica cinese del lavoro. Per il figlio del gotha cinese non c’erano molte strade per sfondare il muro commerciale dell’Europa. L’unica via per sbarcare in Occidente, e mettere le mani sul sistema di sicurezza di porti e aeroporti, era quello di insediare la “sua” fabbrica di confine in un paese europeo con il costo della manodopera più vicino a quello cinese.

Il cavallo cinese

La Polonia era, negli algoritmi di Pechino, il cavallo di Troia per lo sbarco in Europa. Una fabbrica apparentemente europea, realizzata, però, con soldi e tecnologia made in China. L’obiettivo era produrre in Europa i grandi scanner per spedizioni, container e vagoni ferroviari, per bagagli e metal detector per gli aeroporti. Un’operazione, però, non solo industriale ed economica. Tra le aspirazioni inconfessabili c’è quella di mettere sotto controllo cittadini e luoghi, dati sensibili e privacy. L’ascesa del rampollo ai vertici della società cinese, e della sua diramazione polacca, sono una spinta agli affari che non lasciano niente di intentato: dopo che Hu è diventato presidente della società, le autorità centrali comuniste, infatti, hanno affidato a Nuctech un controllo quasi monopolistico senza precedenti sul mercato d’oro per la vendita di apparecchiature di sicurezza agli aeroporti in Cina. Quella scalata industriale, digitale e non solo, gli è valsa la promozione a segretario del Partito Comunista, lo stesso che controlla Tsinghua Holdings, la capofila di almeno 20 grandi società tra cui proprio la “sua” Nuctech. La sfida economica della fabbrica di scanner e sicurezza, però, non sembra godere del vento in poppa se all’inizio del 2020 è dovuta scendere in campo l’ala patrimoniale della potentissima China National Nuclear Corporation, sotto la diretta supervisione delle proprietà di Stato. Dunque, un’industria a tutti gli effetti nell’élite delle società in mano del Partito-Stato, con una missione su tutte: indottrinare la sicurezza mondiale, metterla sotto controllo, dagli aeroporti ai porti, dalle ambasciate alle stazioni ferroviarie. Quando la società nucleare cinese sta per entrare in Sardegna, però, nessuno si accorge di niente.

L’appalto sardo

L’appalto per 5 apparati radiogeni per gli aeroporti di Cagliari e Olbia viene bandito in maniera anomala due anni fa. E’ l’aeroporto di Cagliari, attraverso la Sogaer, che pubblica la gara d’appalto anche in nome e per conto della Geasar, l’aeroporto di Olbia Costa Smeralda. L’aggiudicazione è sancita l’undici di dicembre del 2019. Vince la Nuctech Warsaw Company Limited di Varsavia, in pratica i cinesi vestiti da polacchi. La stima dell’appalto per quei 5 apparecchi è una cifra da capogiro: 10 milioni di euro. Il verbale di gara è una formula matematica, parametri, certificazioni, tempi di reazione e valutazioni sull’efficienza. Alla fine la vittoria viene assegnata ai cinesi. Perdono gli americani e gli inglesi. Il giudizio della commissione di gara, però, è contrastato. Alan Leighton Mixer, americano di Washington, rappresentante legale della Rapiscan Systems, scrive a Massimo Rodriguez, responsabile del procedimento di gara della Sogaer. Le contestazioni sono un’enciclopedia.

Le accuse americane

Nella missiva Usa non si usano mezzi termini:«Senza entrare nella discrezionalità della commissione tecnica, notiamo che alcune considerazioni relative alla qualità della tecnologia da cui consegue una elevatissima qualità delle immagini prodotte, quale l'assenza di fenomeni di postluminescenza (afterglow) sono stati del tutto ignorati nella attribuzione di valutazione qualitativa». Come dire: la chiarezza delle immagini radiogene è insignificante per il punteggio. Gli yankee, poi, affrontano il tema degli esplosivi, anello debole della catena della sicurezza aeroportuale come dimostrato dall’inchiesta dell’Unione Sarda sul report dell’Enac sulla security. E non ci vanno giù leggeri.

Esplosivi e dimenticanze

L’accusa è circostanziata: in ballo ci sono gli esplosivi fatti in casa, uguali a quei 14 sfuggiti in un solo giorno ai controlli di sicurezza nello scalo cagliaritano in quella giornata nera d’agosto. Scrivono gli americani con base europea a Londra: «In merito al riconoscimento premiale della rilevazione HME (Home Made Explosives), esplosivi improvvisati, si fa notare che tale caratteristica è comune a tutti i concorrenti in quanto requisito minimo per l’ottenimento della certificazione EDS Std 3. Attribuire un giudizio premiante ad un solo partecipante per una caratteristica insita nella tecnologia certificata da ECAC per tutti i concorrenti è lesivo nei confronti di tutti coloro abbiano medesima capacità certificata». In pratica, secondo i concorrenti di Washington, il punteggio ha premiato solo i cinesi quando il requisito era, invece, obbligatoriamente in possesso di tutti i concorrenti. E, poi, ci sono le contestazioni che riguardano la sicurezza sul lavoro. I cinesi dichiarano di avere il certificato OHSAS 18001, quello, per intenderci, relativo agli standard internazionali per i sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro. Peccato, scrivono gli americani, che di quel certificato non ci sia traccia e che la stazione appaltante non ne abbia chiesto giustificazione. Anzi, secondo la missiva Usa, la commissione attribuisce ugualmente ai cinesi un altro punto a favore. La Sogaer non risponderà mai alle contestazioni. Passano i giorni, le settimane, i mesi e anche gli anni: di quelle macchine made nella Cina polacca nell’aeroporto di Cagliari-Elmas non c’è traccia.

Il regalo di Natale

Sino alla scorsa vigilia di Natale. La foto che pubblichiamo attesta lo sbarco e l’installazione del primo macchinario cinese nei sotterranei dello scalo. Sostituzione in fretta e furia delle macchine americane, e montaggio, prima di una e poi dell’altra di produzione cinese-polacca. Un buio di due anni, dall’aggiudicazione della gara, era dicembre 2019, all’installazione di questi giorni. Un silenzio inspiegabile. Dietro quel ritardo, però, c’è molto di più di un semplice problema burocratico. L’affare è di Stato, di quelli pesanti. Di mezzo c’è niente meno che il Dipartimento di Sicurezza e del Commercio degli Stati Uniti d’America. E’ il 22 dicembre del 2020 quando il Federal Register inchioda la fabbrica cinese in terra di Polonia. La gara d’appalto in salsa sarda, quella che aprirà le porte ai cinesi di Nuctech, ha appena compiuto un anno senza che niente si sia mosso. Gli americani convocano l’ERC, un super comitato di sicurezza dove siedono i Dipartimenti del Commercio, di Stato, Difesa, Energia e del Tesoro. Da decidere c’è l’inserimento nella lista delle società soggette a restrizioni commerciali nientemeno che del colosso cinese che un anno prima si era aggiudicato la fornitura degli scanner radiogeni per gli aeroporti di Cagliari e Olbia: la Nuctech. I cinesi finiscono nella “Entity List”, una lista di restrizione commerciale riservata ad "attività sanzionate dal Dipartimento di Stato e contrarie alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e/o agli interessi di politica estera”.

L’aut aut degli Usa

Il verdetto è pesantissimo (nella foto): «Il Comitato ha deciso di aggiungere alla lista di restrizione la Tongfang Technology Ltd. (nome cinese della NucTech) per il suo coinvolgimento in attività contrarie agli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. In particolare, il Comitato ha determinato che le attrezzature a basso rendimento di NucTech ostacolano gli sforzi degli Stati Uniti per contrastare il traffico internazionale di materiale nucleare e altri materiali radioattivi. Con attrezzature meno performanti significa un controllo meno rigoroso dello screening del carico, aumentando il rischio di proliferazione». Le agenzie americane non si fermano e scrivono un report riservato ai governi alleati, quello italiano per primo: fermate lo sbarco in Europa dei prodotti della Nuctech, affermando che i sistemi di scansione dei bagagli ai gateway occidentali rappresentano una minaccia per la sicurezza e per le imprese occidentali.

Si parla cinese

A guidare l’assalto sono il Consiglio di sicurezza nazionale americano e le agenzie statunitensi. L’obiettivo è quello di sradicare dall’Europa la Nuctech. I funzionari di Washington ne sono certi: qualsiasi dispositivo connesso potrebbe trasmettere dati sensibili dei passeggeri come la cronologia dei viaggi e i dati di spedizione alle spie cinesi tramite una backdoor nella tecnologia di screening. Nello scalo di Santa Gilla, però, non si sono posti troppi problemi: da Natale la sicurezza dell’aeroporto di Cagliari parla cinese.

(10.continua)

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