Un pugile zingaro campione nella Germania Nazista, una ciclista che correva contro i colleghi maschi, la prima squadra di calcio femminile, nata nel Fascismo. È una trilogia di sportivi che sono andati in direzione ostinata e contraria quella che l'attore e autore Michele Vargiu porta in giro da tre anni nei teatri italiani.

Stasera alle 21 e domani alle 18 nella sua Sassari (Spazio Bunker) porta lo spettacolo che chiude il trittico: “Le fuorigioco” racconta la storia del “Gruppo femminile calcistico milanese”, la prima squadra di calcio femminile costituita in Italia, nel 1932.

Gli altri due spettacoli teatrali sono incentrati su Alfonsina Strada, l'unica donna a correre il Giro d’Italia, nel 1924, al grido di “vi farò vedere io se le donne non sanno stare in bicicletta come gli uomini!” e su Johann Trollmann, il pugile di etnia sinti (la più vasta comunità tra gli zingari) che divenne campione dei mediomassimi nella Germania nazista e morì a 37 anni in un campo di concentramento.

Attore e autore, il sassarese Michele Vargiu ha fondato la Compagnia Teatro Tabasco insieme alla collega Lisa Moras con la quale porta in giro in tutta Italia produzioni originali.

La prima squadra di calcio femminile (foto concessa)
La prima squadra di calcio femminile (foto concessa)
La prima squadra di calcio femminile (foto concessa)

Perché tre storie di sportivi controcorrente?

“La scelta è stata decisa da vari fattori: la prima è in quanto teatro di narrazione, mi interessava approfondire piccole storie di personaggi poco conosciuti, piccoli eroi, eroi tragici che hanno aperto nuove porte e portato avanti lotte per i diritti”.

Cosa colpisce il pubblico?

“Gli spettatori si affezionano alla storia e ai personaggi. Ho visto che piace il ritmo nella narrazione. Non c'è scenografia, solo musica o suoni mandati dalla regia, molti mi dicono: mi è sembrato di vedere un film e di vedere l'incontro di boxe, la gara ciclistica o la partita di calcio”.

Raccontare di atleti singoli è un conto, come rendere il discorso su un'intera squadra?

“È una bella sfida. Lavoro di interpretazione e attraverso una narrazione faccio vivere le giocatrici e l'allenatore. È una narrazione corale fatta da una persona sola. Poi ci sono le registrazioni audio con attori che hanno collaborato per ricreare la documentazione storica”.

Nel 1932 fare calcio femminile era impensabile, cosa accadde?

“Era considerato uno sport solo per maschi, che alcune ragazze si mettessero a giocare con gonne lunghe sino al ginocchio era considerata una mostruosità. Ebbero trattamento terribile dalla stampa e dall'opinione pubblica. Loro per attirare l'attenzione e avere il permesso di giocare hanno chiesto parere ai giocatori del periodo come Giuseppe Meazza e chiesto l'aiuto del Coni che concesse il permesso di giocare a porte chiuse e con tempi di gioco più brevi e palla piccola, e solo gioco rasoterra perché temevano che una pallonata al ventre potesse compromettere la capacità riproduttiva. Dovettero persino sostenere una visita col medico del regime, ma alla fine riuscirono a giocare e farsi voler bene”.

© Riproduzione riservata