Il drammatico periodo della Resistenza è stato fonte di ispirazione per numerosi scrittori italiani che ne vissero in prima persona le vicende. Fra i principali autori che dedicarono le loro opere a questo difficile momento storico vanno citati Beppe Fenoglio (“Il partigiano Johnny”, “Una questione privata”), Elio Vittorini (“Uomini e no”), Cesare Pavese (“La casa in collina”), Renata Viganò (“L'Agnese va a morire”).

In questi romanzi il mondo della Resistenza viene ritratto perlopiù senza toni retorici, anzi con una certa durezza e con un realismo che li avvicina spesso a documenti di valore storico più che a vere e proprie opere di fantasia. All'interno di questo gruppo si distingue il romanzo di esordio di un autore più ricordato per i suoi romanzi “fantastici” come “Il visconte dimezzato” (1952) e “Il barone rampante” (1957). Parliamo, naturalmente, di Italo Calvino e del libro “Il sentiero dei nidi di ragno”, pubblicato nel 1947, solo due anni dopo la fine della guerra. Il libro si inserisce nel filone letterario del Neorealismo: scritto con uno stile e un linguaggio semplici, narra vicende che derivano dall'esperienza personale dell'autore, protagonista in quegli anni della lotta partigiana. Per aderire in modo ancor più coerente con la realtà, Calvino impiega termini popolari e fa uso anche di forme dialettali, scegliendo di utilizzare come tempo verbale della narrazione il presente, soluzione che dà al racconto un ritmo più immediato e attuale.

Calvino ambienta, infatti, il proprio romanzo in Liguria, a Sanremo, in un vicolo di un quartiere popolare: siamo nel periodo successivo all'armistizio dell'8 settembre 1943, dunque nel pieno della lotta partigiana. Le vicende vengono raccontate dal punto di vista di un bambino di dieci anni, di nome Pin, orfano di madre e con un padre assente, che cerca invano amore e amicizia in un ambiente duro e spesso ostile.

Dopo avere vissuto l'esperienza della prigione, in seguito al furto di un'arma cui era stato costretto dagli adulti del vicolo, Pin finisce sulle montagne con un gruppo di partigiani. Qui vive vicende drammatiche che lo segnano in profondità, conosce la paura, la violenza della guerra e l'amarezza del tradimento, fino al triste ritorno al paese che aveva subito un rastrellamento da parte dei nazisti. Sempre più solo, fugge ancora, e finalmente trova un amico in Cugino, il partigiano robusto e mite che lo aveva condotto sui monti, unico adulto che gli dimostra sincero affetto e si prende cura di lui.

Pin, il protagonista del romanzo, appare come sospeso tra due mondi troppo distanti: quello degli adulti e quello dei suoi coetanei. Dei primi, fra i quali vive, assume il linguaggio (spesso volgare) e certi atteggiamenti che sono però non naturali per un bambino della sua età. Come è ovvio, gli adulti non lo considerano uno di loro, anzi, lo canzonano o cercano di servirsene per propri fini, non sempre onesti. A loro volta, proprio per questi suoi comportamenti, i bambini lo vedono come un estraneo, impedendogli di integrarsi con loro.

Il personaggio vive così con difficoltà: si sente inadeguato, e non ha una persona con la quale confidarsi e sulla quale poter contare nei momenti di smarrimento o di crisi. Non riesce a trovare una collocazione nel mondo in cui vive come chiarisce questo brano, tratto dal romanzo: “Si avrebbe voglia d’andare con una banda di compagni, allora, compagni cui spiegare il posto dove fanno il nido i ragni, o con cui fare battaglie con le canne, nel fossato. Ma i ragazzi non vogliono bene a Pin: è l’amico dei grandi, Pin, sa dire ai grandi cose che li fanno ridere e arrabbiare, non come loro che non capiscono nulla quando i grandi parlano. Pin alle volte vorrebbe mettersi coi ragazzi della sua età, chiedere che lo lascino giocare a testa e pila. Ma i ragazzi lo lasciano a parte, e a un certo punto si mettono a picchiarlo; perché Pin ha due braccine smilze smilze ed è il più debole di tutti. E a Pin non resta che rifugiarsi nel mondo dei grandi, dei grandi che pure gli voltano la schiena, dei grandi che pure sono incomprensibili e distanti per lui come per gli altri ragazzi, ma che sono più facili da prendere in giro, con quella voglia delle donne e quella paura dei carabinieri, finché non si stancano e cominciano a scapaccionarlo”.

Esiste tuttavia un luogo in cui Pin si sente felice e torna davvero bambino: è il sentiero dei nidi di ragno che dà il titolo al romanzo. Questo spazio nascosto nella campagna è l'unico in cui Pin è davvero a suo agio, protetto da una natura amica e complice. È un posto segreto, che solo lui conosce e di cui parlerà a Cugino una volta sicuro della sua amicizia e fedeltà. È il luogo dell'immaginazione e della fantasia, un luogo quasi fiabesco, lontano dalla cruda realtà della guerra e di un mondo che appare insensibile alle esigenze di un ragazzino. Ulteriore caratteristica di quest'opera è la scelta di rappresentare i partigiani senza alcun intento celebrativo. Si tratta sì di antifascisti convinti ma non di eroi: sono uomini comuni, con i difetti e le mancanze di tutti gli esseri umani. Uno di loro, il giovane Pelle, in seguito a una lite, giungerà addirittura a tradire i compagni.

D'altronde, in una prefazione al libro Calvino scriverà di non aver voluto «rappresentare i migliori partigiani ma i peggiori possibili», riconoscendone come giusta e coraggiosa la scelta di entrare attivamente nella Resistenza, ma sottolineandone le contraddizioni, gli errori e, in qualche caso, anche le cattiverie.

Il sentiero dei nidi di ragno
Il sentiero dei nidi di ragno
Il sentiero dei nidi di ragno
© Riproduzione riservata