“Scoprire di avere una malattia catapulta in una dimensione più libera. Non puoi programmare nulla, a parte le cure. Il buono di una malattia è che capisci cosa viene prima. Lo senti senza più incertezza, ed esci dalla ruota del criceto. Per piena che sia, ogni vita, prima o poi, diventa una bolla in cui fai sempre le stesse cose. Quando ti ammali la bolla esplode”.

Lea ha scoperto di avere un tumore al seno e la sua vita ha iniziato a cambiare. Si è sempre reputata una persona ansiosa, per via della madre, che le ha trasmesso la stessa modalità apprensiva di risolvere i problemi: “Sono cresciuta col terrore della follia di mia madre e col senso di colpa per non averla saputa proteggere, anche se avevo cinque anni e nessuno proteggeva me. Ci ho messo tanto a riconoscere di essere diventata anch’io una persona ansiosa: per via delle manie di mia madre l’ansia per me era la cosa più brutta del mondo, non potevo accettarla”.

Per mitigare la sua ansia, Lea trova un metodo: scrivere storie e portarle in scena: “A poco a poco ho capito che per dar tregua ai pensieri ossessivi che da quando i miei genitori erano morti mi vorticavano in testa come girandole d’acciaio, dovevo continuamente inventarmi qualcosa, creare, mettermi alla prova. Quando sono riuscita a pubblicare il primo romanzo ho scoperto che dal mio modo amplificato di sentire poteva nascere qualcosa di bello, da condividere con gli altri. Era stata l’ansia a generare la mia scrittura”.

Lea è sposata con Shlomo e ha due figli. Lui non sopporta la sua ansia e la scambia per una debolezza; spesso, dopo un litigio, la punisce negandole la parola e lasciandola in lacrime. Con lui non è felice, ma non riesce a lasciarlo.

Si sente sola a elaborare le fasi della malattia e gli effetti della chemioterapia, dopo l’operazione: “Quando viene un tumore si è costretti a farsi un esame di coscienza. Viene per caso, dicono gli scienziati. Loro non sanno perché. Si può solo cercare di prevenire, avere uno stile di vita sano, anche se magari non serve a niente. Nessuno ti dice: non soffrire troppo, non ti tormentare, non stare sempre in ansia, non stancarti così tanto. Nessuno a parte tua madre, se ce l’hai. Ma chi ascolta le madri. Ci si vergogna a dire che si è stanchi, bisogna farcela per forza. Io dovevo controllare tutto […] Fino al momento in cui ho iniziato la chemioterapia il percorso della malattia mi incuriosiva, come tutto quel che mi capita. La voglia e il bisogno di scrivere, di condividere, di raccontare, prevale sempre sulla fatica di ogni esperienza, anche della più estrema”.

“Storia della mia ansia”, è un libro di Daria Bignardi, edito da Mondadori.

È la scrittura a salvare la protagonista dai momenti più bui della sua malattia.

Scrivere, raccontare, è un modo per viaggiare alla scoperta del nostro Io e far fronte alle nostre emozioni, i ricordi, le paure. È una scrittura terapeutica, che non guarisce, ma che aiuta a lenire la sofferenza e che permette ai pensieri, quando vengono trasposti in un foglio, di assumere una struttura e un significato.

La protagonista comprende come la scrittura sia importante per mitigare l’ansia e contenere le sue angosce. Un’ansia che inizialmente appare astratta, immotivata, quasi ereditata, e che invece assume pian piano una forma definita.

E nella lotta contro la malattia, Lea trasmetterà ai lettori uno dei suoi più preziosi appunti di Vita: “Imparerò a prendermi cura di me e a mettere i miei desideri davanti a quelli degli altri: fare il contrario, tanto, non funziona. Quand’è che l’ho dimenticato? Da ragazza lo sapevo che per venire amati bisogna prima amare se stessi […] Il cancro non è che l’ultima battaglia, e non è stata la più difficile. È stata quella contro me stessa la battaglia più lunga e cruenta”.

La copertina del libro
La copertina del libro
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