Silvia Casu, 47 anni, è ricercatrice nel gruppo di Astrochimica e Astrobiologia dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari.

Una passione verso la ricerca che, a differenza di altre colleghe, non è nata nel periodo dell'infanzia, ma è scaturita da un colpo di fulmine per la Fisica all'ultimo anno del liceo classico Dettori.

Una formazione umanistica di base, dunque, che ha poi trovato nella ricerca scientifica il suo sviluppo più appassionato e sincero. Un percorso animato dalla curiosità, dalla voglia di dare risposte alle domande su come funziona e dove va il mondo. E una carriera densa di soddisfazioni, ma non senza privazioni e difficoltà, per cui l'essere donna ha giocato un ruolo importante.

Oggi si celebra in tutto il mondo la giornata internazionale delle donne e delle ragazze nelle Scienze, istituita proprio per combattere la disparità di genere in questo ambito. Un tema, dunque, che ancora oggi esiste?

"Il diverso approccio alla scienza con riferimento ai generi, fenomeno senz'altro più marcato nel passato, è ancora oggi ben presente, e sotto gli occhi di tutti. Sarà capitato a chiunque di andare in un negozio di giocattoli, e vedere i prodotti ben differenziati in corsie e confezioni tramite colori tendenti al rosa per le femmine e al blu per i maschi. Dove si collocano il meccano, le costruzioni, il piccolo chimico e tutti i giochi relativi all'ambito scientifico? Negli spazi riservati ai maschi. E questo senza alcuna corrispondenza sostanziale: per conto dell'Osservatorio di Cagliari mi occupo delle attività di divulgazione scientifica, entrando così spesso a contatto con le scuole. La curiosità e l'interesse dei bimbi dell'asilo e delle elementari verso la scienza non ha alcuna distinzione di genere".

Dopo quell'età cosa succede?

"Succede che il preconcetto instaurato dalla società prende il sopravvento. E così ci ritroviamo con ragazzine delle medie che si rifiutano di mettersi alla prova con qualsiasi tipo di esperimento scientifico perché ritengono di non esserne capaci, all'altezza. E perché pensano che la scienza sia poco femminile e possa dare un'immagine distorta del loro essere donna. Poi, invogliate a cimentarsi, dimostrano spesso di essere addirittura migliori dei loro coetanei maschi".

Un preconcetto, dunque, che esiste, e in cui le scuole giocano un ruolo determinante.

"In ambito educativo, ancora oggi, troppo poco si fa per far passare l'idea che la scienza è anche donna. Qualche anno fa Sardegna Ricerche aveva portato avanti nelle scuole elementari un curioso progetto: 'Disegna il tuo scienziato'. Nella stragrande maggioranza dei casi, il risultato era al maschile. Non solo: ci è capitato più volte di chiedere alle scolaresche in visita all'Osservatorio di elencare tre nomi di scienziati uomini e poi tre nomi di scienziate donne. Se alla prima risposta, e parliamo di scuole superiori, tutti più o meno se la cavano, alla seconda sono molti i ragazzi che fanno scena muta. E lo stesso imbarazzo lo riscontriamo, spesso, anche nei docenti.

Volendo tracciare un quadro della composizione uomini/donne nel mondo della ricerca oggi, che immagine si ricava?

"Partiamo da un presupposto, e cioè che una distinzione fra i livelli di responsabilità è d'obbligo. Mi spiego meglio: nell'approccio alle materie scientifiche in ambito universitario e post universitario c'è una pariteticità fra i sessi, ovvero scelgono studi universitari indirizzati a materie scientifiche un numero sostanzialmente uguale, o comunque non troppo lontano, di uomini e donne. La situazione cambia quando ci si alza nella scala delle responsabilità: a livello di incarichi dirigenziali il numero di donne crolla drammaticamente, non superando in alcuni casi il 10%".

Dove sta il nodo da sciogliere?

"Sicuramente, riallacciandomi a quanto detto prima, in ambito educativo e sociale, insegnando fin dalla più tenera età che la passione scientifica non ha sesso. Poi, certo, per le donne c'è la componente della famiglia che svolge un ruolo determinante, soprattutto in un mondo caratterizzato da precarietà e incertezza, e non tanto di stipendio quando di stile di vita: fare ricerca significa spesso sacrificare tante ore per il lavoro, viaggiare spesso, soggiornare in Paesi diversi. Con una famiglia e dei figli tutto diventa più difficile, e sono molte le mie colleghe che a un certo punto fanno la scelta: la professione o la famiglia".

Qual è, in questo senso, la sua esperienza personale?

"Sono madre di due figli, uno di 16 e uno di 8 anni, che hanno imparato a conoscere e amare la mia professione. E a capire che quando mamma è fuori la notte non è perché va a ballare, ma perché deve stare al telescopio, dedicarsi alla ricerca e non solo a Cagliari ma anche, spesso, in giro per il mondo. In questo mi supporta da sempre un marito splendido, che ha scelto di sposare con me anche la mia passione. Aiutandomi a trasmetterla ai nostri figli. Posso dire che i sacrifici di una mamma ricercatrice sono tanti, e all'ordine del giorno, ma anche le soddisfazioni".

Il suo curriculum vanta esperienze di studio e lavoro in numerosi Paesi esteri, dalla Germania, all'Inghilterra, agli Stati Uniti, alla Svezia. Si dice che all'estero per le donne che scelgono di dedicarsi alla ricerca vada un po' meglio. È davvero così?

"Nelle esperienze che ho fatto posso dire di non avere notato una sostanziale differenza. Essere donna e fare ricerca è senz’altro faticoso, in Italia come all'estero, dove forse esiste meno precarietà, una cosa che incide positivamente nell'ottica di costruire una famiglia. Ma il fatto stesso di avere dedicato una giornata internazionale alla scienza al femminile, dimostra che molto in questo senso deve ancora essere fatto".

Cosa si sente di suggerire alle giovani donne che vogliono approcciare il mondo della ricerca?

"Anzitutto di seguire i propri sogni e le proprie passioni: è la prima cosa che sttolineo quando vado nelle scuole per l'attività divulgativa dell'Osservatorio. E poi di essere curiose, di domandarsi il perché delle cose. E di non mollare mai, come mi hanno insegnato i miei genitori: papà era docente di materie umanistiche al Dettori, mamma professoressa di matematica e fisica al Pacinotti. In questo mondo, più che in altri, per andare avanti occorrono a una donna forza, tenacia, grande organizzazione. E una buona dose di pazienza".

Virginia Lodi

(Unioneonline)
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