Veniamo da anni di overdose mediatica da esperti e previsioni. Prima il Covid, poi la guerra in Ucraina, infatti, hanno portato alla ribalta una tendenza che accompagna l’essere umano fin dai tempi in cui abitava le caverne: quella di provare a prevedere il futuro. La grande differenza è che un tempo, per fare previsioni, ci si affidava unicamente al moto degli astri oppure alla “lettura” delle viscere degli animali. Oggi si ricorre sempre più spesso all’enorme mole di dati in nostro possesso, sicuri di saperli leggere ed elaborare con facilità. Risultato: come nella notte dei tempi anche i migliori esperti spesso non ci azzeccano. Anzi prendono cantonate solenni, non per questo rinunciando alla loro carriera di indovini e di “veggenti”.

Insomma, il futuro continua e sfuggirci, anche perché ci sfuggono le ragioni per le quali è tanto difficile azzeccare un pronostico.

Nell’agile volume "Te l’avevo detto!” (Hoepli editore, 2023, Euro 14,90. Anche Ebook) Roberto Marangoni presenta, in modo accessibile al grande pubblico, una rassegna della predicibilità di diversi sistemi (fisici, biologici, meteorologici, economici), spiegando perché in molti casi sia proprio impossibile pretendere previsioni scientifiche “certe”. Marangoni - che con quantità enormi di dati è abituato a lavorare quotidianamente dato che insegna Bioinformatica e Analisi genetiche e genomiche all’Università di Pisa – parte da un dato di fatto incontrovertibile: formulare predizioni sull’evoluzione di un fenomeno è un atto spontaneo cui nessuno sfugge. Ma anche se siamo abituati a fare ed ascoltare pareri, “secondo me”, pronostici, rimaniamo dei cattivi “veggenti”.

E continuiamo a sbagliare le nostre previsioni soprattutto quando siamo di fronte a problemi complessi, in cui le variabili sono molte. Questo è ancora più evidente oggi dato che il mondo che ci circonda ha raggiunto una complessità inedita fino a pochi decenni fa. Il cervello umano ha bisogno di migliaia di anni per compiere un'evoluzione significativa. Impossibile che un mutamento sostanziale avvenga nel giro di pochi decenni. Se guardiamo all’evoluzione dell’uomo, il cervello umano, e con esso il modo di ragionare, si è sviluppato in decine e centinaia di migliaia di anni in un ambiente - quello dei gruppi di cacciatori e raccoglitori che giravano nelle foreste o nella savana - completamente diverso rispetto all’attuale. In quell’ambiente era necessario prendere decisioni rapide, immediate, istintive, che consentissero ai nostri progenitori di sfuggire ai predatori oppure di catturare una preda che assicurasse la sopravvivenza. Oggi lo stesso cervello deve affrontare un mondo con Internet, Facebook, e cinquanta e-mail al giorno a cui rispondere.

I grossi problemi però sorgono quando dobbiamo affrontare la complessità di questioni a livello globale. In molti casi l’uomo sembra incapace di gestire i grandi trend, di prevedere i possibili sbocchi di situazioni tanto complesse. Pensiamo, per esempio, a quanto si siano dimostrate errate le analisi sulle diverse crisi economiche degli ultimi anni: tante ipotesi, anche di economisti di vaglia, ma alla fine manager di grandi istituti bancari, esperti di economia hanno ammesso di procedere per tentativi. Non c’è più una visione globale del problema, perché il sistema economico in cui viviamo è diventato troppo complesso.

Accertato che non è tanto semplice comprendere le difficoltà del mondo in cui viviamo e fare previsioni, bisogna allora provare a cambiare la nostra forma mentis: è infatti innata in noi la ricerca di una sicurezza, di una previsione sicura, certa, che venendo oggi a mancare ci rende confusi e disorientati. Anzitutto bisogna lavorare sulle cosiddette “trappole mentali”, sui bias, cioè sugli errori sistemici, più comuni: data la complessità dell’ambiente in cui viviamo e all’impossibilità di analizzare tutto, nelle nostre valutazioni tendiamo ad affidarci a soluzioni euristiche, alle scorciatoie mentali, che mettiamo in atto in modo inconsapevole e che possono risultare ingannevoli e fuorvianti. Dobbiamo partire dalla consapevolezza che pochi eventi o fenomeni si lasciano predire con un’ottima attendibilità; per la maggior parte la predizione è forzatamente limitata a una stima probabilistica di molteplici evoluzioni possibili. Alle difficoltà oggettive dei sistemi, si aggiungono meccanismi psicologici soggettivi che ci rendono, inconsapevolmente, cattivi “veggenti”. Il nostro cervello, infatti, tende a sopravvalutare le nostre competenze e capacità critiche. Sottovaluta quello che non gli sembra credibile. Tende a selezionare solo i fatti che gli interessano o che confermano le teorie già elaborate. Semplifica i fenomeni, anche quando sono complessi.

Ragion per cui molto spesso “non lo so” è la più onesta e scientificamente fondata risposta alla domanda “che succederà?”. Questo non significa rinunciare alla nostra capacità di analisi, di critica e di elaborazione. Significa essere consapevoli dei nostri limiti, accettando per esempio l’aiuto di quelle tecnologie che ci permettono, in maniera più neutra ed efficiente rispetto al cervello umano, di analizzare dati, confrontarli, indicando trend, connessioni, correlazioni che altrimenti sfuggirebbero. Questo non ci consente, naturalmente, di vedere nel futuro, ma ci offre la possibilità di avere a disposizione strumenti sempre migliori, più raffinati ed efficaci, per costruire scenari più fondati, più realistici, basati su dati oggettivi e non su illusioni che ci auto-creiamo.

La copertina del libro
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