In ogni pagina c'è lo sguardo del bambino diventato vecchio in fretta per via di una "decisione espressa a sette anni". Una decisione "che mi venne fatta pesare e che era diventata irrevocabile".

Era l'estate del 1974 e Sebastiano Prino aveva dieci anni, ma come il piccolo Gavino Ledda tre decenni prima e come centinaia, migliaia di infanti e adolescenti fino agli anni Sessanta in Sardegna, venne spedito in campagna per accudire il gregge. Aveva appena finito le scuole elementari e da quel momento, fu la sentenza del padre, sarebbe stato un pastore. "Dopo pochi mesi - racconta - quel mestiere non mi piaceva più e chiesi di poter tornare a scuola, ma la risposta fu un categorico no".

SCELTA INCONSAPEVOLE - È stata la sua sliding door, la scelta inconsapevole che gli ha condizionato la vita. "I passi di un uomo solo", edizioni Libri Liberi, è una raccolta di racconti, lettere e riflessioni di una vita deragliata dentro il carcere e infine, va detto, risorta grazie allo sguardo mai svanito di quel bambino che fu costretto troppo presto ("Mio padre era un uomo all'antica") a rinunciare all'innocenza dell'infanzia. Nuorese, classe 1964, condannato all'ergastolo per la strage di Chilivani - l'uccisione dei carabinieri Ciriaco Carru e Walter Frau, caduti il 16 agosto 1995 nel conflitto a fuoco coi banditi che preparavano l'assalto a un furgone portavalori lungo la strada Sassari-Olbia -, Sebastiano Prino finirà di scontare la sua pena nel 2023 e oggi, in regime di libertà vigilata, vive a Nuoro dove lavora per la cooperativa sociale Ut Unum Sint, (il presidente è don Pietro Borrotzu), che si occupa di reinserimento dei detenuti e di giovani chiamati a un percorso di giustizia riparativa. La sua vita, dunque, riparte da qui, dal capolinea di un tour carcerario cominciato all'Asinara e proseguito a Livorno, Sulmona, Padova - dal 2010 al 2015, dove ha potuto frequentare il corso di storia all'Università e laurearsi con una tesi su Marc Bloch - e infine Badu 'e carros. Intanto ha partecipato a diversi concorsi letterari e ha vinto alcuni premi. "La scrittura e lo studio mi hanno salvato".

LE CHIAVI DELLA LIBERTA' - Sulla copertina del volume la foto di un murale: un pugno fatto di libri che sorregge una chiave. La cultura, l'istruzione come lasciapassare per la libertà. "È il messaggio che voglio lanciare perché non debba più essere che ai bambini venga tolta la possibilità di avere una vita migliore, di assaporare la bellezza dello studio". Nel libro - già presentato a Nuoro, a Monserrato, a Firenze - racconta dei colloqui in carcere con le assistenti sociali "che con protervia mi chiedevano conto di come conducevo la mia vita quando ero libero". Siete arrivate un po' tardi, rispondeva lui, "il vostro aiuto mi sarebbe servito tanti anni fa, quando ho lasciato il banco di scuola per arrampicarmi in montagna dietro un gregge di capre dispettose".

IL RISCATTO - Lo studio più che il lavoro, dice, "è ciò che aiuta chi sta in carcere ed è la vera occasione di riscatto. Eppure, ancora oggi, in tanti penitenziari questo non viene capito. Per me non è stato semplice studiare, ho dovuto combattere anche perché sono sempre stato nelle sezioni speciali e ogni no, davanti alle mie richieste di potermi iscrivere a un corso, veniva giustificato in nome della 'sicurezza'. Solo a Padova ho trovato un direttore, un'educatrice e dei volontari che credevano nel valore dello studio come possibilità di reinserimento del detenuto".

INNOCENTE O COLPEVOLE - Sa bene che tanti, tra coloro che leggeranno il suo libro, vorrebbero chiedergli dell'accusa che gli è costata l'ergastolo. Non ne parla ma, per dovere di cronaca, occorre dire che si è sempre professato innocente. "Sto scontando la mia pena. È questo il dato di fatto". Innocente o colpevole, quante volte avrà pensato ai familiari dei carabinieri uccisi? "Tante - ha risposto una volta in un'intervista all'Unione Sarda -. Quanto è grande la loro sofferenza?, me lo sono sempre chiesto. Non ho mai dato retta a chi mi diceva di chiedere loro perdono per avere gli sconti di pena. Non l'ho mai fatto, anche per una questione di rispetto".

Piera Serusi

© Riproduzione riservata