Ogni famiglia ha le proprie dinamiche e i propri equilibri. A volte delicati, a volte rodati, qualche volta semplicemente strampalati e sorprendenti. Nana, la piccola di casa con i suoi sei anni, non li comprende tutti e magari non comprende ogni cosa fino in fondo della sua famiglia, però osserva, ascolta. E ci racconta di una grande casa sulla collina sopra Genova dove lei, i suoi genitori, due fratelli più grandi e Maria, la bambinaia, sono approdati alla ricerca di un porto sicuro. Un porto dove provare a essere una famiglia normale. Però non è mica semplice perdere le antiche abitudini e quindi la grande casa si riempie di tutti gli animali che vi trovano rifugio oppure scatta la voglia irresistibile di dormire tutti sul pavimento del salotto per osservare la luna piena attraverso le vetrate. Nana comincia a chiedersi se la sua invece che una famiglia normale non sia semplicemente una famiglia che conosce la felicità e i cui componenti hanno trovato il modo per apprezzarla fino in fondo. Però il mondo di fuori, la realtà, bussa con sempre maggiore insistenza alla porta di casa e forse quella di Nana è solo un’illusione infantile, un incanto destinato poi come tutte le magie a scomparire. E poi diventare libro come è accaduto con Planimetria di una famiglia felice (Bompiani, 2019, euro 15, pp. 160. Anche EBook), romanzo d’esordio in cui Lia Piano mescola, con gusto e leggerezza, memoria personale e invenzione narrativa. Dato il titolo del libro viene spontaneo chiedere all’autrice cosa rende una famiglia felice: "Complicata come prima domanda! Credo che la libertà sia un fattore fondamentale per essere felici. Nel libro racconto appunto di una felicità che nasce proprio dalla grande e assoluta libertà che esprimono i miei protagonisti, dalla loro voglia di non essere a tutti i costi come gli altri. Anche se poi si tratta di una felicità che passa, che a un certo punto deve fare i conti, anche duramente, con il mondo esterno, con la realtà".

Spesso la famiglia viene raccontata come un luogo dove le persone non riescono a trovare una propria dimensione. Viceversa, per lei le cose stanno diversamente?

"All’interno della famiglia i miei personaggi si realizzano. E si perdono quando cominciano a voler inseguire dei canoni che sono imposti dall’esterno. Quello che ho voluto raccontare nel mio romanzo è soprattutto questa tensione costante che esiste tra i due universi, l’interno, la casa, l’esterno, il mondo, la realtà".

Parole come interno ed esterno si legano al termine planimetria che ritroviamo nel titolo. Ma una planimetria in fondo non è un disegno schematico, forse un po’ freddo della realtà? Come si lega all’idea di famiglia felice che ritroviamo nel romanzo?

"No, l’idea di planimetria non vuole evocare nulla di tecnico e di freddo. Volevo che la casa in cui vivono i miei protagonisti fosse a sua volta un personaggio della storia. Anzi è l’unico ‘personaggio’ realmente esistito, perché si ispira direttamente alla mia abitazione di famiglia. Ho deciso di mantenere questo pezzo di vita vissuta nel momento in cui ho deciso che non avrei fatto un libro di memorie ma un’opera di fantasia con qualche pezzetto della mia storia personale. Avevo, infatti, la necessità di qualche punto saldo e ho scelto la planimetria della mia casa famigliare e ho giurato fedeltà a questa mappa tanto che quasi ogni capitolo richiama un ambiente dell’abitazione. E poi le planimetrie consentono una vista dall’alto, uno sguardo d’insieme che permette di comprendere le forme delle abitazioni, ma anche delle famiglie che vi abitano".

Tra gli ambienti che ripercorre nel libro quale le ha suscitato maggiore emozione, anche magari per i suoi legami con le sue memorie familiari?

"Le emozioni sono state tante. C’è il corridoio, una parola che deriva dal verbo correre e che mi ha acceso il ricordo di come in quell’ambiente della mia casa ci fosse sempre molto via vai. Poi c’è la cucina, l’ambiente dove c’è forse un po’ più di ordine, c’è qualche regola, non fosse altro perché la tata lì prepara da mangiare e un po’ di metodo è necessaria. Però il luogo che mi ha acceso più emozioni è stato sicuramente il grande salone centrale della casa. È un ambiente vuoto, perennemente spazzato dal vento ed è uno spazio destinato alla rappresentanza senza che però nessuno sappia mai cosa si deve rappresentare e a chi. È uno spazio che non è di nessuno e dove nessuno si sente fino in fondo a proprio agio. È una terra di nessuno, dove porsi domande, dove emergono le cose non dette anche all’interno di una famiglia felice".

Sempre in tema di emozioni, giunta a scrivere la parola fine al suo primo romanzo, come si è sentita?

"Ho provato un senso di vuoto, per qualche giorno anche di grande solitudine. Però poi ho provato una sensazione liberatoria. Mi sono resa conto di essere riuscita in qualche modo a rendere la nostalgia che avevo dentro in maniera gioiosa, fermando alla fine i miei protagonisti in un’istantanea che li riprende nel momento della gioia massima. E questo mi ha fatto sentire…in pace con me stessa".

La copertina
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