Un presentatore della Cnn è apparso più o meno sbronzo in tv durante i collegamenti della notte di San Silvestro. In realtà sta diventando quasi una tradizione, nata dall'idea del giornalista Anderson Cooper di offrire un bicchierino ai suoi ospiti nella postazione di Times Square. Senza volerlo, stavolta è stato un modo paradossale per celebrare il centesimo anniversario di un evento che segnò la storia degli Usa, e non solo: il Capodanno 1920 fu infatti l'ultimo con "libertà di bevute", pochi giorni prima che entrasse in vigore il Proibizionismo. Il Volstead Act, la legge che sancì il divieto di produrre, importare e vendere bevande alcoliche, venne approvata dal Congresso nell'ottobre 1919, ma con entrata in vigore differita al 16 gennaio 1920. Perciò nelle prime due settimane del nuovo anno molti cittadini fecero grandi scorte, dato che la nuova norma non puniva il consumo domestico. Le cronache del tempo riferiscono di migliaia di persone in fila nelle rivendite fino alle ultime ore del 15 gennaio. Ma benché il Proibizionismo sia un fenomeno universalmente noto, anche per la fortuna cinematografica, sono molte le curiosità che spesso ignoriamo sull'argomento. Eccone alcune.

1. UNA NORMA IN FAVORE DELLE DONNE - Vietare l'alcol non fu l'idea improvvisa di qualche sostenitore dello Stato etico, ma il risultato di un movimento di opinione diffuso da più di un secolo. Alimentato da una ripresa del sentimento religioso ma, soprattutto, dai pesanti effetti sociali determinati dall'abuso di birra, vino, gin e simili. Sia nelle aree rurali che in quelle urbane e industrializzate, bere era il principale strumento di evasione da vite spesso routinarie e deprimenti. E ne facevano le spese le donne, oppresse da mariti resi più violenti dall'ubriachezza. Nell'ambito delle associazioni per la "temperanza" che per decenni fecero battaglie contro l'alcol, una delle più attive fu la Woman's Christian Temperance Union. E Mabel Walker Willebrandt, avvocata specializzata nella difesa legale delle donne, negli Anni Venti - nominata in un ruolo di vertice al ministero della Giustizia - fu tra i pubblici funzionari che più di tutti cercarono di far rispettare il Volstead Act.

2. L'INFLUSSO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE - Oltre che dalle donne, il Proibizionismo era ben visto dalle grandi imprese, perché l'alcolismo era ritenuto responsabile degli elevati tassi di assenteismo nelle fabbriche. Ma una spinta decisiva arrivò, secondo alcune teorie, dalla decisione degli Stati Uniti di entrare nella Grande Guerra. Contro la Germania: e proprio le comunità tedesche negli States (cui per altro facevano riferimento molti birrifici), insieme ai cattolici, guidavano il fronte antiproibizionista. L'identificazione del nemico bellico contribuì a far prevalere la voce opposta, di tendenza protestante, contraria all'alcol libero. Il conflitto mondiale c'entra anche perché lo stop alla produzione della birra doveva servire a risparmiare grano da destinare ai soldati; ma la legge arrivò solo dopo l'armistizio del 1918. Il primo luglio 1919 era scattato un primo divieto approvato durante la guerra, ma molto limitato.

3. IL RUOLO DEI PRESIDENTI - Benché fosse l'attuazione del diciottesimo emendamento alla Costituzione, in vigore dal gennaio precedente, il Volstead Act fu inizialmente stoppato dal veto del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, che avrebbe preferito un blocco meno stringente. Ma il Congresso rovesciò quella posizione in maniera netta: 175 sì contro 55 no alla Camera, 65 a 20 al Senato. Nel 1933 sarà un altro presidente, in uno dei suoi primi atti dopo l'elezione, a promuovere l'abolizione del Proibizionismo, come promesso in campagna elettorale: Franklin Delano Roosevelt, che poi passò alla storia per il New Deal e la gestione della Seconda Guerra Mondiale.

4. IL PARADISO DEGLI STRUZZI - Nel 1925, dopo cinque anni di Proibizionismo, la North American Review chiese ventuno pareri sull'ipotesi di liberalizzare nuovamente l'alcol, ad altrettanti interlocutori: giuristi, medici, imprenditori, amministratori pubblici, insegnanti, uomini di Chiesa. Il referendum finì quasi pari: 10 voci favorevoli al ritorno al passato, 11 contrarie. Tra le prime, il presidente del Carnegie Institute, Samuel H. Church, definì il Proibizionismo "il paradiso dello struzzo. Con la testa sotto la sabbia, crede che quel che non vede non esista. Ma tutto attorno è nato un business da centinaia di milioni di dollari esentasse, senza controllo né responsabilità, che devia i giovani, corrompe i politici, demoralizza la polizia e diffonde disprezzo per la legge in generale". Opinione diametralmente opposta a quella di Richard H. Scott, presidente della casa automobilistica Reo Motor: "Ora la gran parte della gente è sobria, fa soldi, compra beni primari e di lusso, deposita in banca cifre inimmaginabili..."

5. ASCIUTTI E BAGNATI - Vennero definiti così ("dries and wets") i fautori, rispettivamente, del no all'alcol e della libertà di bere. Curiosamente, dopo il 1980 la distinzione ritornerà di moda nel Regno Unito, ma stavolta per identificare i sostenitori e gli oppositori, all'interno del partito conservatore, delle politiche più severe volute da Margaret Thatcher. Il riferimento però in questo caso è legato alla tradizionale catalogazione degli sport, nelle scuole britanniche, tra acquatici (dal canottaggio in giù) e "di campo", come rugby o cricket, ritenuti - a torto - più duri.

6. LE VERE RAGIONI DELL'ABOLIZIONE - Come detto, il Proibizionismo ebbe fine nel 1933. Ormai era abbastanza diffusa la percezione che l'esperimento fosse un buco nell'acqua, data la grande circolazione di alcol di contrabbando, e all'esistenza nelle città di decine di migliaia di "speakeasy", locali in cui si vendevano bevande alcoliche illegalmente. Ma come la Grande Guerra diede la spinta decisiva al divieto, così anche la sua abolizione maturò - secondo una teoria dal forte seguito - grazie a un evento storico esterno, altrettanto epocale: la Grande Depressione economica seguita al crollo di Wall Street del 1929. Il Proibizionismo aveva cancellato migliaia di produttori di birra, vino e superalcolici, distruggendo molti posti di lavoro; al tempo stesso il contrabbando creava una ricca economia sommersa e criminale, che sfuggiva totalmente al Fisco. Abolire il diciottesimo emendamento della Costituzione e con esso il Volstead Act servì dunque a incrementare le risorse pubbliche.

7. FU UN VERO FALLIMENTO? - Oggi, di fatto, è opinione comune che il Proibizionismo abbia fallito: e questa è spesso la base di molti ragionamenti, non solo negli Stati Uniti, sulla validità di politiche proibizioniste anche su altri fronti, come quello della droga. Ma già da alcuni decenni circolano le analisi controcorrente di alcuni studiosi che invece, basandosi sui dati a disposizione, esprimono su quel fenomeno un giudizio almeno parzialmente diverso.

Per esempio nell'ottobre 1989 Mark H. Moore ha pubblicato sul New York Times (non certo un bigotto foglio parrocchiale) un articolo intitolato "In realtà, il Proibizionismo fu un successo". A suo parere, "la visione convenzionale del Proibizionismo non è supportata dai fatti". Alcune cifre: tra gli uomini le morti per cirrosi passarono da 29,5 ogni 100mila abitanti, nel 1911, a 10,7 nel 1929. I ricoveri in manicomio per psicosi alcol-correlate calarono da 10,1 su 100mila abitanti nel 1919 a 4,7 nel 1928. Tra il 1916 e il 1922 si dimezzarono gli arresti per ubriachezza. Cifre che ripresero a salire dopo il 1933, specie quelle sulla cirrosi, come documentato dal National Institute on Alcohol Abuse. Altri studi, come quelli del National Bureau of Economic Research, segnalano un incremento della mortalità infantile negli anni che seguirono il cosiddetto Repeal, ossia la revoca del regime di proibizioni. Sul piano dell'economia, Edward Behr nel 2011 ha documentato un calo dal 10 al 3% dell'assenteismo nelle fabbriche. Quanto alla criminalità, è ancora Moore a contraddire la percezione di un'esplosione favorita dal traffico illegale di alcol. I registri di polizia non erano al tempo così raffinati da consentire un'analisi dettagliata della variazione dei reati, e il crimine organizzato - sottolinea Moore - esisteva anche prima. Una ricerca relativa a trenta grandi città mostra in effetti una recrudescenza di furti, rapine e omicidi tra il 1920 e il 1921, ma non è dimostrabile il legame col Proibizionismo (e a New York, per esempio, la statistica va in senso contrario). Lo storico Kenneth D. Rose (California State University) nega radicalmente che ci siano prove chiare di "questa presunta ondata di illegalità". Non che queste considerazioni possano portare a un reale ripensamento sul Proibizionismo: al di là delle cifre su sanità e criminalità, è lo strumento in sé - la pretesa dello Stato di dettare la morale ai cittadini - ad apparire inapplicabile alla società contemporanea. Resta però impressionante la distanza tra i dati enumerati dagli studiosi, e la pagella finale attribuita all'esperimento secondo la percezione popolare. Non certo il primo caso nella storia di una valutazione emotiva anziché scientifica delle politiche di governo, e tantomeno l'ultimo.
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