Esattamente cent’anni fa, nelle giornate del 6 e 7 novembre 1917 secondo il nostro calendario, 24 e 25 ottobre secondo il calendario russo, a Pietrogrado, oggi San Pietroburgo, militari e operai insorgono e aprono la strada alla conquista del potere da parte dei bolscevichi guidati da Lenin: è l’inizio della Rivoluzione d’Ottobre, uno degli eventi cruciali di tutto il Novecento se solo pensiamo al ruolo svolto dall’Unione Sovietica per buona parte del XX secolo e all’importanza ricoperta dal pensiero comunista a livello mondiale.

Naturalmente abbondano gli studi sulla Rivoluzione, l’ideologia da cui nasceva e sui suoi grandi protagonisti. Meno conosciuti, almeno al grande pubblico dei non specialisti, gli eventi e le dinamiche che seguirono a quei primi giorni rivoluzionari. Cosa accadde in Russia una volta che i bolscevichi presero il potere grazie all’azione degli insorti di Pietrogrado?

A raccontarcelo è un ben documentato saggio dello storico militare americano David Bullock: La guerra civile russa 1918-1922 (Leg, 2017, Euro 20,00, pp. 280), che più che soffermarsi su quelli che sono stati definiti “i dieci giorni che sconvolsero il mondo” ci racconta la tragedia della guerra intestina che investì le terre russe subito dopo. Sì, perché è vero che i Rossi fecero quello che era un colpo di mano, ma è altrettanto vero che vi erano forze, i cosiddetti Bianchi, pronti a tutto per contrastarli. Ne uscirono anni di guerra fratricida e crudele, una guerra moderna e allo stesso tempo antiquata, come scrive Bullock, in cui “l’aeroplano, l’autoblindo, il carro armato e il treno corazzato furono testati sui vasti territori della Russia. Inoltre si trattò dell’ultimo conflitto in cui le opposte cavallerie si affrontarono in scontri di massa, a colpi di spade e lance, mentre il suono dei corni e le bandiere spiegate ancora accompagnavano l’assalto delle fanterie contro le bocche d’acciaio dei cannoni”.

Potrebbe dirsi un conflitto tra Russia nuova, i bolscevichi, e Russia tradizionale dato che a comandare i Bianchi erano spesso ex ufficiali dello zar. Fu più che altro uno scontro crudele tra concezioni del mondo differenti e inconciliabili. Alla fine emerse la fazione che credeva maggiormente, quasi con fanatismo religioso, nella propria missione come racconta sempre l’autore: i capi bolscevichi “erano votati irrevocabilmente alla distruzione di un mondo e alla costruzione di un altro” e avevano “una volontà spietata di sacrificarsi – e di spingere gli altri a farlo – per l’obbiettivo finale”. Così, di fronte ai primi successi delle armate bianche, non esitarono nel 1918 a giustiziare lo zar Nicola II e tutta la sua famiglia tenuti prigionieri.

Non ebbero scrupoli a imporre il comunismo di guerra con la confisca di ogni derrata alimentare pur di approvvigionare l’Armata rossa. Fu la fame per milioni di persone, ma non distolse i leader comunisti dal loro obbiettivo così come non li distolsero le spietate esecuzioni della Ceka, la polizia segreta cui fu affidato il compito di terrorizzare ed eliminare fisicamente non solo gli oppositori ma anche chi non si schierava apertamente con la Rivoluzione. Fu il “Terrore rosso” – a cui corrispose, non meno violento, il “Terrore bianco” – e fece ben 250 mila vittime durante la guerra civile. Eppure i Rossi non avrebbero vinto se non avessero saputo trasmettere un messaggio facilmente comprensibile per le masse russe. I bolscevichi in caso di vittoria promettevano “pace, pane e terra” mentre, scrive Bullock, “i Bianchi non riuscirono a definire un programma sociale e politico comprensibile. Argomenti come il sacrificio personale, esortazioni a offrirsi per il servizio militare per la Madre Russia ispiravano pochi… troppo pochi”. E la massa dei contadini non amava i Rossi, ma temeva una cosa più di tutte: che dietro i loro avversari vi fossero gli antichi proprietari terrieri dell’epoca zarista, coloro che avevano per generazioni affamato il popolo russo. Finì come sappiamo, con il popolo russo condannato a un’altra dittatura dopo secoli di zarismo. Sul campo, in quei quattro anni di guerra, rimasero circa tre milioni di morti dovuti ai combattimenti e alle repressioni a cui si aggiunsero cinque milioni di vittime dovute alle carestie provocate nel 1921-22 dal conflitto. Fu il dramma di un intero popolo sacrificato sull’altare dell’ideologia e del potere politico.

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