L’abito è quello del giorno di festa: corpetto bianco con maniche a sbuffo, lunga gonna a pieghe ricamata di fiori, il velo a incorniciare un viso fiero.

È con il costume della tradizione che Ninetta Bartoli, prima donna a essere sindaco di un Comune italiano, si fa ritrarre nel giorno della sua investitura.

I suoi occhi guardano lontano, a quella scelta che nessuna appartenente al genere femminile sino a quel momento aveva anche solo mai pensato di fare: governare il proprio paese.

Ninetta Bartoli nasce a Borutta, piccolo comune del Meilogu, nel Logudoro, il 24 settembre 1896.

Figlia di una famiglia agiata, viene mandata a studiare a Sassari, nell’istituto Figlie di Maria, la scuola più esclusiva della città.

La sua "diversità" dalle compagne emerge già dai primi anni: odia le arti "femminili" e il focolare, preferisce l’azione e l’impegno sociale, che mette subito in pratica al fianco di Giovanni Battista Manzella, leggendario missionario.

Rientrata a Borutta, a differenza di molte giovani della sua età decide di restare in paese, e di non sposarsi. Sa di essere fortunata, di essere in grado di costruirsi autonomamente un futuro, e di poter fare qualche cosa di importante per i suoi compaesani: perché, allora, rinunciarvi?

Eredita il patrimonio di famiglia, e per tutti diventa la "signorina Bartali", donna volonterosa e impegnata, attiva su molti fronti. Stringe amicizie importanti, come quella con Laura Carta, futura moglie di Antonio Segni. Inizia in quegli anni la sua pratica politica tra organizzazioni cattoliche e assidue frequentazioni con i vertici della Dc locale.

Ninetta Bartoli in una foto negli anni della giovinezza
Ninetta Bartoli in una foto negli anni della giovinezza
Ninetta Bartoli in una foto negli anni della giovinezza

Il terribile periodo della guerra è per lei ulteriore prova di forza, aiuto e sostegno a tante famiglie in difficoltà.

Nel 1945 le italiane ottengono il diritto di voto, e nel 1946, grazie al decreto De Gasperi-Togliatti, possono essere elette.

Per Ninetta si propone l’occasione attesa da una vita: a cinquant’anni, è donna temuta e rispettata, autorevole, incarna l’appartenenza ma anche una nuova figura capace di rompere gli schemi. La Dc appoggia il suo desiderio di essere artefice del cambiamento e, nell’aprile del 1946, viene votata sindaco di Borutta con un autentico plebiscito, l’89% delle preferenze. Diviene così la prima donna sindaco della storia dell’Italia repubblicana.

Gira incessantemente sulla sua carrozza tra Borutta e Sassari per conoscere sempre meglio il territorio amministrato, fa costruire in paese l’acquedotto e il sistema fognario, porta l’energia elettrica, edifica case popolari e scuola: Borutta da piccolo centro fossilizzato diviene così, grazie alla sua "sindaca", luogo aperto e moderno.

Governerà la città per 12 anni, fino al 1958, quando accantonata dal partito smette di fare politica, rimanendo però fedele ai suoi ideali di aiuto e sostegno al prossimo.

Una lezione di grande forza, fierezza, impegno, di "insularità" vera intesa come forma di grande indipendenza e identificazione nelle proprie tradizioni. Una lezione che segna il passo per molte donne che le sarebbero da lì succedute.

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