La discussione etica nasce con i sofisti della Grecia antica. Con essa si vollero sostituire le idee confluite in norme oggettive, dettate dalla religione o dal costume, con norme derivanti da leggi dettate dall’uomo e quindi riconducibili ai suoi bisogni e ai suoi vantaggi.

La letteratura medica ha sviluppato ampiamente questo tema, in particolare l’World Health Organization ha focalizzato i temi etici che si devono affrontare anche nel corso di epidemie infettive. Fin dal giuramento di Ippocrate il rapporto medico-paziente è stato caratterizzato da un’etica paternalistica, per la quale il medico agisce per il bene di una persona senza che sia necessario chiedere il suo assenso. Il paziente viene considerato non solo privo della conoscenza tecnica ma anche incapace di decidere in autonomia. Nel corso degli ultimi decenni del XX secolo si sono delineati due scenari: da un lato il notevole progresso scientifico e tecnologico, che ha modificato la storia naturale di molte patologie migliorandone la prognosi, dall’altra, la rivendicazione di sempre più spazi di autonomia da parte dei cittadini che, nell’ambito dell’assistenza sanitaria, hanno creato le condizioni per l’approvazione da parte dell’American Hospital Association nel 1973 della Carta dei diritti del paziente. Pertanto, da allora, il paziente ha diritto ad essere informato e ad essere partecipe delle decisioni terapeutiche che lo riguardano.

Nel nostro contesto sociale la relazione medico - paziente è diventata una relazione tra persone autonome che sottoscrivono un patto che nella forma della prassi medica costituisce il Consenso Informato. Con esso viene chiesto da un medico al singolo paziente l’assenso all’esecuzione di accertamenti diagnostici o ad atti terapeutici o ancora la partecipazione ad un Trial clinico. Il tutto dopo aver fornito adeguate informazioni sui vantaggi delle terapie o di interventi chirurgici e gli eventuali rischi. Da questo punto di vista il medico ha il dovere di informare in maniera sostanziale il paziente fornendo dettagliate informazioni sul suo stato di salute, sulla sua prognosi e sui trattamenti disponibili in quell’ospedale o in alternativa altri tipi di trattamento in altri ospedali. Il paziente ha diritto a questo punto a decidere quali trattamenti effettuare e quelli ai quali non desidera sottoporsi.

La cornice dentro la quale il medico si muove è quella del codice deontologico. Per esemplificare è solo dal 1995 che nel nostro Paese per la prima volta il medico ha il dovere di informare pienamente il paziente anche riguardo a prognosi infauste; di dare informazione ai congiunti solo se il paziente acconsente; di non intraprendere alcuna attività diagnostica o terapeutica senza il consenso informato del paziente. Questo è il rapporto fra medico e paziente in tempi che potremmo chiamare normali. Cosa succede quando l’afflusso, ad esempio, ad un pronto soccorso è estremamente elevato? Basta la pratica del “primo arrivato, primo servito”? La recente epidemia di Covid ha riportato all’attenzione su questi temi. Con un lavoro di Ezekiel J. Emanuel dal titolo eloquente “Cosa il Covid ha insegnato al mondo sull’etica” la discussione ha dovuto affrontare temi ai quali eravamo poco propensi a discutere. Nel lavoro si sottolinea come la pandemia di Covid ha posto sfide sostanziali per le società e i servizi sanitari a livello globale. Molte di queste sfide hanno avuto un valore tecnico, come lo sviluppo di vaccini efficaci e altre terapie. Le sfide hanno posto domande nuove, difficili: come distribuire i vaccini che scarseggiano, introdurre mascherina e vaccino come obbligo, limitare i viaggi, come testare i vaccini sui volontari. Tutto ciò richiede giudizi di valore e, quindi, una nuova etica.

Antonio Barracca

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