È la storia più antica del mondo, almeno per quanto riguarda le luci della ribalta e il successo: la distanza tra la gloria degli altari e la polvere è veramente poca. Insomma, per usare un proverbio, ci vuole veramente un nonnulla per passare dalle “stelle alle stalle”. Oggigiorno basta un click. Un semplice “tocco” sullo smartphone o sul computer, ma ripetuto da milioni di follower, segna il successo; lo stesso gesto può decretare la fine di un fenomeno mediatico, trasformando i peana a senso unico in gogna digitale, anzi in shitstorm.

È quello che è successo a Chiara Ferragni e a suo marito (o ex marito) Fedez nel giro di poco giorni tra la fine del 2023 e il 2024. Il 15 dicembre del 2023 Ferragni, all’apice del suo successo, viene multata dall’Antitrust per promozione ingannevole. L’accusa è quella di aver spacciato un’operazione commerciale legata a una famosa marca di pandori per un’iniziativa benefica destinata alle cure di bambini malati di tumore.

Nel giro di pochissimo il popolo web e quella parte (maggioritaria) del mondo dei media che aveva acriticamente idolatrato la più famosa tra le fashion blogger cambia il proprio “umore digitale”. Scoprono che il re, anzi la regina è nuda e che a lungo si è creduto a una favola o a una farsa, che dir si voglia. Il tonfo manda in crisi un impero che pareva scintillante e solidissimo, quello dei Ferragnez, da 45 milioni di follower. Eppure, i segnali di un’imminente caduta erano sotto gli occhi di tutti, come la nudità del sovrano nella celebra favola. Lo racconta la giornalista Selvaggia Lucarelli nel suo “Il vaso di pandoro” (PaperFirst, 2024, euro 16, pp. 250. Anche Ebook), ponendo prima di tutto l’accento su alcuni “segnali” inquietanti legati alla coppia più famosa e invidiata del mondo digitale: dalla sovraesposizione dei minori, in questo caso i figli dei Ferragnez, alla compulsiva ostentazione del privilegio, dall’attivismo calcolato alla beneficenza troppo spesso legata a logiche commerciali o comunque poco chiare.

Il libro di Lucarelli ripercorre così la storia recente del fenomeno mediatico più discusso del Paese, imponendo una riflessione non semplice e neppure banale sulla capacità del web di influenzare le nostre scelte, le nostre abitudini, i miti che scegliamo come punti di riferimento. Ricorda alcune sacrosante verità che troppo spesso dimentichiamo quando ci troviamo di fronte al virtuale e al digitale. Per esempio, che chi diventa influencer è sempre più spesso “gente come noi”, a volte ragazzi e ragazze che hanno sviluppato un’abilità particolare e sono molto bravi a proporsi in rete attraverso i canali social. Curano la loro presenza sulle piattaforme digitali in maniera professionale (a volte ossessiva!) per creare un legame di fiducia con il loro pubblico e non farsi dimenticare in fretta. Per questo sono perfetti per le strategie di un’impresa commerciale, divenendo uno “strumento” a servizio del mercato e delle aziende, che in genere hanno un solo obbiettivo: vendere.

Ma come è possibile che venga data così tanta fiducia a una o un influencer? Come possono le persone farsi condizionare così profondamente come spesso accade di fronte agli influencer? Chi ha studiato questo fenomeno sostiene che, in mezzo alla confusione di Internet e alla sua tempesta di informazioni, l’influencer è percepita o percepito un po’ come una guida, una bussola: dice che cosa si deve indossare, ascoltare, guardare; svela come farsi apprezzare dalle altre persone o come cavarsela nelle situazioni imbarazzanti; offre, cioè, modelli chiari da seguire per essere “vincenti”. Questo spiegherebbe, quindi, perché siano ascoltati in ogni occasione.

Tutto sembra naturale e spontaneo: l’influencer, con lo stile comunicativo che la o lo contraddistingue, invece di trasmettere uno dei suoi contenuti, parla di un particolare prodotto o servizio. Ne illustra le caratteristiche, presenta le sue qualità e lo consiglia a tutti i suoi follower. Lo può fare anche in un contesto informale, all’aperto o in un locale, come se stesse postando un contenuto per caso. Ma tutta questa spontaneità è reale? Spesso o quasi sempre no, perché Ferragni e company vengono pagati e profumatamente per fare promozione alle aziende. Esiste, cioè, un rapporto professionale in cui un committente ricompensa economicamente chi lavora per lui. Più l’influencer è “forte” – cioè, ha un pubblico fidato e numeroso – maggiore sarà il suo impatto che poco ha a che fare con la spontaneità di un commento disinteressato. E questo è un elemento che non dobbiamo mai dimenticare quando “consumiamo” i contenuti promossi dalle nostre e dai nostri influencer preferiti. Ferragni lo sapeva benissimo e sull’ambigua fiducia che instillava ci ha sempre giocato mentre milioni di follower si sono lasciati “giocare”. Per questo il libro di Lucarelli riguarda tutti e da molto vicino.

La copertina
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