Di cosa abbiamo bisogno dopo quasi un anno di pandemia? Di buone notizie, di speranze e di un orizzonte non segnato solo dal Coronavirus.

Federico Rampini, nel suo ultimo libro I cantieri della storia (Mondadori, 2020, pp. 252, anche e-book), ci offre un pizzico di tutto questo raccontandoci e ricordandoci che già in passato l’uomo ha affrontato grandi crisi e ha sempre saputo uscirne. Anzi, ha saputo regalarsi epoche di ottimismo e progresso dopo i periodi più bui. Così, ripercorrendo quasi duemila anni di storia, Rampini ci ricorda che dopo il crollo dell’Impero romano non tutta la civiltà antica è andata perduta e che nel Medioevo sono state poste le basi per il Rinascimento. Oppure che dalla Depressione degli anni Trenta del Novecento è nata la politica del New Deal che ha innovato la politica e la società americana come mai era accaduto prima. E ancora che dalle macerie della Seconda guerra mondiale molte nazioni, come l’Italia, il Giappone e la Francia, hanno saputo trovare la strada per un futuro di prosperità. Insomma, i cantieri della storia descritti da Rampini sono molti e toccano epoche e continenti diversi. Ma qual è il messaggio più importante che ci viene da queste esperienze del passato? Lo chiediamo proprio all’autore del libro: "Un messaggio di speranza. E i viaggi che faccio nel passato in questo libro servono a giustificare questa speranza. Non si tratta di ottimismo astratto ma basato sulla nostra memoria storica. In ogni crisi, anche nelle peggiori, ci siamo sempre risollevati. E ripercorrere come siamo stati in grado di superare i nostri momenti peggiori non solo restituisce speranza, ma è molto istruttivo anche per il presente".

In che modo può essere istruttivo?

"Guardando soprattutto alle crisi più recenti individuo almeno due lezioni utili anche per il presente. La prima è che la rinascita nasce dalla capacità e dall’umiltà di seguire quei modelli che funzionano. Interi popoli hanno saputo ripartire perché si sono rimboccati le maniche e non hanno avuto timore di guardare a chi avesse fatto meglio di loro. Un’altra lezione che ci viene dal passato è che per superare una crisi ci vuole una burocrazia ‘buona’. Che si parli del New Deal americano, del Giappone o della Francia del Dopoguerra alla fine a consolidare la rinascita è stata una schiera di servitori dello stato, di funzionari e amministratori onesti ed efficienti al servizio dei cittadini".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Un tasto dolente per l’Italia, che non brilla certo per la sua burocrazia…

"Nel mio libro c’è anche un cantiere del passato che può darci una lezione molto utile per l’Italia di oggi. In un capitolo parlo del Piano Marshall, il grande progetto di aiuti all’Europa approntato dal governo americano dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ebbene, come capita oggi con il Recovery Fund europeo anche il Piano Marshall incontrò all’inizio molte resistenze, fu accompagnato da timori e preoccupazioni. L’Italia si trovava nella necessità di far fronte a problemi simili a quelli che stiamo vivendo ora con la pandemia. Gli aiuti dovevano servire a rilanciare il Paese però c’erano ritardi, tentennamenti da parte della nostra classe politica. All’estero cresceva la preoccupazione che l’Italia sprecasse quei soldi, per inefficienza e diffusione della corruzione. Eppure, furono trovate delle soluzioni che ci possono venire utili anche oggi dato che il Recovery Fund, quando e se arriverà, sarà ancora più generoso del Piano Marshall".

Cosa dovrebbe fare l’Italia per fare tesoro del passato?

"All’epoca del Piano Marshall un ruolo importante venne svolto da Luigi Einaudi, prima governatore della Banca d’Italia e poi, dal 1948, presidente della Repubblica. Venne quindi individuata una presenza rassicurante, solida, un punto di riferimento di cui gli americani sapevano di potersi fidare. Einaudi denunciò in quegli anni le inefficienze e gli intralci causati dalla nostra burocrazia e la sua azione portò a qualche risultato positivo, anche se parziale. La burocrazia ha poi continuato a essere il tallone di Achille dell’Italia. Se però si vuole usare al meglio il Recovery Fund e fare ripartire il Paese la lezione che ci arriva dal passato è che bisogna mettere mano alla macchina dello Stato. Altrimenti ripartire sarà solo un’illusione".
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