L’incoerente militante padano promosso solamente a capitano (molte stellette mancano per essere considerato un Generale), nato politicamente come comunista, divenuto negli anni secessionista ribelle (che in qualità di eurodeputato aveva chiesto l'abolizione della festa della Repubblica e che a tutt’oggi è ancora segretario della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania) a nazionalista convinto, colui che prima aborriva i meridionali e attaccava Roma Ladrona e invece oggi è il terrore degli immigrati clandestini e attacca Bruxelles e la stessa idea di Europa, si è salvato.

Autorizzazione a procedere negata grazie soprattutto ad una entità penta stellata superiore, impalpabile, e non meglio identificata, denominata pretenziosamente (quanto indegnamente) piattaforma Rousseau, quasi a voler richiamare, travisandoli, gli ideali politici del grandissimo filosofo del periodo illuminista, il quale aspirava alla ricostituzione della società fondata su un contratto sociale che vedesse il popolo contemporaneamente sovrano e suddito di se stesso.

Peccato solamente che, al di là degli addetti alla piattaforma, andata in tilt diverse volte nel corso della votazione (casualmente o artatamente non è dato sapere), nessun soggetto "terzo" sia stato messo in condizione di verificare non solo la regolarità delle operazioni di voto, ma anche se effettivamente l’opinione espressa dal popolo a 5 stelle, in larga parte favorevole a mandare a processo il ministro dell’Interno (tra tutti, per fare un esempio, la stessa Virginia Raggi), sia stata quella di fatto ufficializzata.

Pensar male è peccato, si sa, ma ci si azzecca. E comunque, anche a voler prescindere da ogni considerazione sulla illegittimità di quella consultazione posto che, come sancito dalla stessa Costituzione al suo articolo 67, nessun parlamentare, diversamente da quanto si è voluto lasciar intendere, è vincolato da alcun mandato né verso il partito di appartenenza, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori, assumendo piuttosto nei confronti degli stessi solo una responsabilità politica, meglio avrebbe fatto il compagno di Governo Di Maio ad assumersi in prima persona il peso di una decisione in assoluta contro tendenza rispetto alla linea politica che nel corso degli anni aveva portato il suo Movimento ai vertici, e che, invece, oggi, rischia l’estinzione proprio in ragione della sua de-naturalizzazione.

L’idea, pericolosissima, che i due esponenti vicepremier hanno voluto lanciare è quella per cui chi governa debba essere al di sopra della legge senza se e senza ma sol perché il popolo sovrano lo ha eletto.

Non sarà superfluo, al proposito, chiarire che quando i padri costituenti inserirono la c.d. immunità nella Carta Costituzionale (che poi negli anni ha subito alterne vicende), si parlò di grande vittoria della sinistra, perché significava poter fare politica senza temere ritorsioni da parte della magistratura, dimenticando, però, che nessuno può considerarsi al di sopra della legge. Una distorsione gravissima che nel corso degli anni è stata a tal punto strumentalizzata da inculcare il serio convincimento che esista una magistratura politicizzata asservita all’"interesse" del momento.

Aberrante a dir poco, se così fosse. Oggi più che mai occorre sgombrare il campo da idee simili se davvero vogliamo raggiungere l’obiettivo del Buon Governo. L’equilibrio tra due poteri così forti, quello giudiziario e quello politico, deve essere garantito nell’interesse soprattutto di noi cittadini. E allora, così come la magistratura deve preservare la sua indipendenza e terzietà, operando, laddove necessario, nei confronti di ogni cittadino italiano, parlamentare e non, ipoteticamente resosi responsabile di un reato, altrettanto la medesima è chiamata ad evitare che si possa in qualche modo riconoscere una qualche contaminazione politica nella sua attività.

Il rispetto della Costituzione deve essere la linea direttrice.

Nel caso Diciotti, l’ipotesi di reato avanzata nei confronti del ministro dell’Interno concerneva, a quanto è dato sapere, gli avvenimenti circoscritti alle giornate comprese tra il 20 e il 25 agosto, nel corso delle quali ai migranti veniva rifiutato lo sbarco in violazione delle Convenzioni Internazionali di Solas e Sar, ratificate dall’Italia, e che in base agli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione non possono essere fatte oggetto di deroga alcuna da parte dell'Autorità Politica, siccome aventi un rango superiore rispetto alla normativa interna.

Quindi, nel caso specifico, nessun atteggiamento ritorsivo poteva anche solo lontanamente ipotizzarsi da parte del Tribunale di Catania il quale ha evidentemente agito del tutto legittimamente in piena armonia con le sue funzioni.

Ogni valutazione relativa alla sussistenza del reato sarebbe stata demandata al processo, ove il ministro dell’Interno avrebbe potuto far valere le sue ragioni.

L’errore di fondo in cui è caduto non solo Salvini, nel cercare la compiacenza incondizionata del suo competitor a 5 stelle, ma anche gran parte del Parlamento, è stato quello di non affrontare la questione sul piano tecnico ma di rifugiarsi sulla insindacabilità della decisione relativa alla negazione della autorizzazione a procedere facendo ricorso al solito stereotipo del conflitto tra la politica e la magistratura utile solo ad evitare l’accertamento del fatto di reato.

Concludendo, il messaggio che da tutta la vicenda potrebbe arrivare al comune cittadino, più o meno consapevole, è quello per cui se anche è scritto che la legge è uguale per tutti, tuttavia sembrerebbero esservi "alcuni" più uguali di altri siccome legittimati a sottrarsi all’autorità giudiziaria. Tanto più, anche quando, la decisione sul se concedere e/o negare la autorizzazione sia lasciata alla sola discrezionalità dello stesso Parlamento, il quale potrebbe servirsene a suo piacimento a seconda della maggiore o minore "simpatia" verso il potenziale imputato di turno.

Ma oggi ha ancora senso che esista l'autorizzazione a procedere?

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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