Troppe volte la cultura si è trovata a svolgere un ruolo da Cenerentola nel nostro Paese. Poche risorse e soprattutto scarsa fiducia che l’universo culturale potesse in qualche modo contribuire allo sviluppo dell’Italia, che pure ha tante frecce al proprio arco in ambito storico, artistico, monumentale.  

Inutile però piangersi addosso o peggio sul latte versato. Meglio forse provare a guardare avanti, alle prospettive, magari inattese, che questa stagione caratterizzata dalla pandemia Covid sta aprendo. È quello che prova a fare l’AICI – l’Associazione delle istituzioni di cultura italiane - promuovendo per il prossimo 29 novembre a Parma (capitale italiana della cultura nel 2021) un convegno dal titolo “Le Regioni, gli istituti di cultura e le politiche culturali del territorio nel quadro del PNRR”. Obiettivo della giornata di incontri è stimolare la riflessione su come e con che ruolo le istituzioni culturali del nostro Paese possano essere un volano per la ripartenza e la crescita dell’Italia nel quadro appunto del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il Piano prevede, infatti, un pacchetto di investimenti di più di duecento miliardi di euro (in buona parte provenienti dall’Unione europea), di cui una fetta consistente è destinata ai settori della digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura.

Questo il quadro economico e programmatico che si prospetta nei prossimi anni. Un quadro che fa sperare che sia veramente il momento di puntare sulla cultura per ripartire come ci conferma Valdo Spini, presidente di AICI:

“In un momento così drammatico come quello che stiamo vivendo, un momento segnato dalla pandemia e da problemi economici e sociali la cultura potrebbe sembrare semplicemente un modo per distrarsi dalle problematiche, per riprendere fiato in vista di sfide più impegnative. Non è così: la cultura è una componente essenziale della nostra ripartenza, è una sorta di ‘ente nazionale” che ha enormi possibilità, anche per favorire lo sviluppo economico. Se guardiamo solo all’AICI siamo una rete di 139 tra fondazioni e istituti di cultura presenti in tutto il territorio italiano. In Sardegna, per esempio, fanno parte della nostra associazione la Fondazione Istituto Storico Giuseppe Siotto di Cagliari e il Memoriale Giuseppe Garibaldi a Caprera”.

Qual è la filosofia dell’AICI?

“Siamo un’associazione del tutto volontaria che però ha dalla sua la forza di rappresentare oramai la gran parte del mondo delle fondazioni e degli istituti di cultura. L’intuizione fondamentale è stata quella di portare queste realtà culturali presenti capillarmente sul territorio italiano a uscire dall’autoreferenzialità. La spinta è stata quella di creare una rete e di metterla a disposizione per ricomporre una coesione nazionale che appare in parte perduta. In un momento come quello che stiamo vivendo, in cui la società italiana è percorsa da divisioni e difficoltà, credo che ricomporre il mosaico della nostra identità culturale sia molto importante”.

Quali azioni pratiche portate avanti allora?

“Per esempio, abbiamo deciso di proporre 250 posti di formazione post dottorato nelle nostre fondazioni ed istituti con l’idea di offrire maggiori possibilità a giovani particolarmente qualificati in un momento difficile come questo. Abbiamo gli spazi per accoglierli, le biblioteche, gli archivi, il personale che è disposto a seguirli e quindi abbiamo avanzato una proposta formale nell’ambito del PNRR”.

Ma il rischio non è che le risorse del PNRR favoriscano le istituzioni pubbliche a scapito di realtà private come le vostre?

“Prima parlavo dell’AICI come una rete di fondazioni e istituti che hanno una forte ramificazione sul territorio e che possono essere un importante vettore di coesione sociale, attraverso la cultura come antidoto alla violenza e veicolo di dialogo. Possiamo e intendiamo dare un contributo al Paese e verremmo quindi che il nostro sforzo fosse compreso e riconosciuto con chiarezza a livello istituzionale. Per fare un esempio uno dei punti di forza del PNRR è l’innovazione tecnologica che potrebbe tradursi nella digitalizzazione degli archivi e delle biblioteche messe a disposizione dai nostri istituti e fondazioni”.

Prima ha parlato di un progetto di alta formazione per i giovani promosso da AICI. Quanto conta il coinvolgimento del mondo dell’istruzione e dell’università nel momento in cui si vuole riportare la cultura al centro della vita del nostro Paese?

“Il ruolo della scuola è fondamentale e preoccupano i dati che emergono su come la pandemia abbia inciso sulla qualità dell’istruzione. La nostra idea è di mettere a disposizione gli spazi delle nostre sedi così da limitare i danni della didattica a distanza. E questo in un’ottica di voler fare qualcosa di concreto per il nostro Paese. Ci sono situazioni in cui ragazzi e ragazze non sanno a chi rivolgersi se non sono già parte di una famiglia motivata e istruita. Noi vogliamo offrire a questi giovani delle opportunità che altrimenti non avrebbero offrendo i nostri spazi, le nostre dotazioni, le nostre riviste. Al convegno del 29 novembre abbiamo invitato il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi proprio perché ci piacerebbe fare un accordo quadro che metta a disposizione degli studenti le tante risorse delle fondazioni e degli istituti di cultura che fanno parte di AICI”.

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