Come ci immaginiamo Gesù? Troppo spesso giovane, biondo, carismatico come un divo di Hollywood. Ce lo immaginiamo poi perennemente impegnato in lunghi viaggi, assediato da folle oceaniche e preso dalla sua missione. Soprattutto, l’iconografia e anche la teologia cattolica ci restituiscono l’immagine di un Gesù più divino che umano, con il pensiero perennemente rivolto al suo destino di Salvatore. Un Gesù sostanzialmente di passaggio sulla Terra, in attesa di riprendere il posto che gli compete alla destra del Padre, nell’alto dei cieli, per usare una formula dottrinale.

Quanto abbiamo detto è frutto di una narrazione che si è sedimentata nel corso dei secoli e ha costruito un immaginario non del tutto falso e fallace, ma sicuramente distorto, illusorio. Più semplicemente: riduttivo e colpevole di allontanare da noi l’uomo Gesù, la sua vicenda terrena. Questo immaginario ci porta a dimenticare che nella fede cristiana è Dio che si fa essere umano per potersi muovere liberamente e in maniera incondizionata in mezzo ad esseri umani come lui. Insomma, nel cristianesimo non ci può essere la divinità del Cristo senza la sua umanità, senza la sua corporeità e finitezza. 

Ci pare questo il messaggio decisivo proposto in questi giorni pasquali da un volume appena giunto nelle librerie e dal titolo sicuramente evocativo per chiunque di noi abbia mai messo piede in una chiesa e abbia ascoltato la lettura di un brano del Vangelo: “In quel tempo” (Solferino, 2023, euro 17, pp. 256. Anche Ebook). I sottotitoli in copertina avvertono che siamo di fronte a una storia quotidiana delle origini del cristianesimo e a un volume che racconta le vicende da Gesù a san Paolo attraverso i numeri – e non quelli dei versetti, intendiamoci – del Nuovo Testamento. Non poteva essere che così dato che l’autore, Roberto Volpi, è uno statistico di lungo corso, abituato a ragionare su cifre, quantità, percentuali e statistiche. Volpi però non ha voluto fare un volume di curiosità o stupire i lettori con chissà quali rivelazioni cabalistiche. Da buon esperto di statistica si è basato sui numeri per avere una base solida e per lui abituale con cui avviare il proprio ragionamento e poi approfondire, riuscendo così a fare un balzo nel tempo e ritrovarsi nella Galilea di quasi duemila anni.

E cosa dicono di tanto importante le cifre evocate da Roberto Volpi? Intanto che Gesù, al momento in cui inizia la predicazione raccontata dai Vangeli, non era più un ragazzo da un bel pezzo. Anzi, avendo più di trent’anni non era neppure un giovane per gli standard di un’epoca in cui la vita media raramente superava le tre decadi. Era un uomo fatto, maturo, che aveva a lungo meditato le sue scelte, compresa quella di non sposarsi e dedicare tutto se stesso alla predicazione e a Dio. Era un uomo fatto e per questo poteva parlare in pubblico avendo l’autorevolezza della maturità, fattore fondamentale dato il valore che le società antiche davano all’esperienza accumulata negli anni. Sempre in tema di numeri, anche nei casi più eccezionali, dimentichiamoci folle oceaniche da stadio o da concerto dei giorni nostri in ascolto di Gesù. Le cifre evocate da Volpi parlano di una Palestina abitata da decine di migliaia di persone, in cui anche Gerusalemme era tutt’altro che una metropoli. Ergo, Gesù predicava molto spesso a folle che gli sedevano attorno e in cui poteva facilmente riconoscere i volti dei singoli. Aveva un rapporto diretto con il suo uditorio ed egli era quanto di più lontano si potesse immaginare da una sorta di santone che osserva i propri adepti da lontano.

Sono solo brevi accenni di quanto proposto nel libro di Volpi, ma fanno capire quanto ancora si possa scoprire sulla figura di Gesù, sulla sua persona e i suoi atti. Insomma, Volpi vuole in qualche modo provocarci. Sembra dirci: se sfuggono, nonostante i dati, queste evidenze concrete narrate dai Vangeli, ci sfuggono perché siamo abituati a una lettura distratta, ripetitiva, stereotipata. Ma allora quanto ci sfugge del messaggio reale di Cristo, quanto ci manteniamo distanti dall’essenza del cristianesimo delle origini? In questa ottica “In quel tempo” diventa un utile strumento di riscoperta e di approfondimento. Mettendo in evidenza - ma è solo un esempio tra i tanti - come la maggior parte della popolazione dell’epoca di Gesù fosse formata da giovani e giovanissimi, si sottolinea l’attenzione che il Messia mostra per i più piccoli, per i bambini in un’epoca in cui l’infanzia era ignorata e fino al momento in cui si diventava adulti non si contava nulla. Insomma, mostra la rivoluzione cristiana nel modo di intendere i rapporti con i più deboli, con gli esclusi – quanti malati incontra Gesù? -, tra uomini e donne dato che la presenza femminile tra i seguaci di Cristo era tutt’altro che limitata. Il libro di Volpi, rilevando la quotidianità e l’ordinarietà della vita di un Gesù che si muove tra villaggi della Galilea poco distanti tra loro, consuma il cibo che mangiano tutti e come tutti sbotta e si scoccia con i compagni e anche con la madre, Maria, rammenta l’innegabile eccezionalità della Buona novella evangelica. Una Buona novella che interroga tutti noi, credenti e non credenti, da duemila anni.

La copertina
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